Il “comune accordo” tra partecipanti ad una stessa gara, così come la sussistenza di un rapporto di controllo o collegamento tra imprese concorrenti, deve essere accertato in concreto, e non semplicemente presunto.
In entrambi i casi, la stazione appaltante è tenuta a fornire la prova, tramite rilievi formali e deduzioni logiche gravi e concordanti, dell’avvenuto accordo.
Questo il principio espresso dal Tar Lombardia, Milano, sez. I, con la sentenza n. 845 del 27 marzo 2015.
Nel caso di specie, afferente ad una gara di appalto da aggiudicare con il criterio del maggior ribasso, due raggruppamenti concorrenti si erano avvalsi della stessa società di servizi (soggetto ad essi estraneo) per la collazione e l’invio dei plichi.
Il fatto che i plichi delle due concorrenti fossero risultati uguali per colore e dimensioni, ed inviati tramite lo stesso corriere, aveva indotto la commissione giudicatrice a ritenere violato il principio di segretezza, indipendenza e serietà delle offerte.
Di diverso avviso il giudice amministrativo secondo cui la stazione appaltante non può dedurre un accordo fraudolento in assenza di irregolarità tali “da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte”.
Per “accordo” tra partecipanti ad una stessa gara possono essere individuate due diverse fattispecie, una afferente ad un’intesa volta alla comune, materiale predisposizione dei plichi, l’altra connessa più direttamente ad una modalità fraudolenta volta ad assicurare ad una delle due partecipanti il conseguimento dell’appalto.
Come evidenziato dal Tar, tuttavia, l’utilizzo della stessa agenzia di servizi per la collazione e l’invio dei plichi non attesta di per sé né il pericolo di propalazione delle notizie non divulgabili né un accordo elusivo tra i concorrenti.
Ciò esclude la violazione sia formale che sostanziale del principio di segretezza delle offerte.