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Equilibrio di genere nelle società partecipate


La legge 120/2011 ha imposto a tutte le società controllate dalle p.a. di cui all’articolo 1, comma 2 del d.lgs. 165/2001, tra cui quindi anche gli enti locali, di modificare il proprio statuto in modo da assicurare l’equilibrio di genere, sia nell’organo di amministrazione, che in quello di controllo.

In attuazione di quanto previsto dall’articolo 3 di tale norma, è stato emanato il d.p.r. 251/2012, entrato in vigore il 12 febbraio 2013.

Tale decreto, all’articolo 2 ha ribadito la necessità di modificare lo statuto delle società controllate dagli enti locali al fine di garantire che la nomina degli organi di amministrazione e di controllo, a composizione collegiale, sia effettuata secondo modalità tali da garantire che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei componenti di ciascun organo.

Qualora sia previsto per la nomina degli organi sociali il meccanismo del voto di lista, gli statuti dovranno disciplinare la formazione delle liste in applicazione del criterio di riparto tra generi, prevedendo modalità di elezione e di estrazione dei singoli componenti idonee a garantire il rispetto delle previsioni di legge.

Qualora dall’applicazione di dette modalità non risulti un numero intero di componenti degli organi di amministrazione o controllo appartenenti al genere meno rappresentato, tale numero è arrotondato per eccesso all’unità superiore.

L’equilibrio è quantificato in una presenza del genere meno rappresentato pari ad almeno un terzo dei membri, da raggiungere entro i primi tre rinnovi degli organi sociali (si segnala, tuttavia, che per il primo rinnovo la soglia è fissata ad almeno il 20%).

Le soglie devono essere rispettate sia nella composizione degli organi di amministrazione, che in quelli di controllo e, per questi ultimi, sia con riferimento ai sindaci effettivi che a quelli supplenti, ad eccezione delle società con amministratore unico e delle società in cui le funzioni di controllo sono affidate al sindaco unico o a un revisore unico, alle quali naturalmente il concetto di equilibrio di genere non può applicarsi.

Il criterio delle c.d. “quote” si applica quindi solo per tre mandati consecutivi a partire dal primo rinnovo successivo al 12 febbraio 2013.

Per “primo rinnovo” si intende il primo integrale rinnovo di tutte le componenti degli organi sociali dopo l’entrata in vigore degli obblighi rispettivamente previsti dalla Legge 120/2011 e dal d.p.r. 251/2012, e non la sostituzione di un singolo membro decaduto prima della naturale scadenza del mandato.

Per il primo mandato la quota riservata al genere meno rappresentato è pari ad almeno un quinto (20%) del numero dei componenti dell’organo (articolo 3 d.p.r. 251/2012). Per i successivi mandati la quota da riservare al genere meno rappresentato è pari ad un terzo (33%).

Nel caso in cui dall’applicazione del riparto per la quota di genere non risulti un numero intero di seggi assegnati al genere meno rappresentato, tale numero deve essere arrotondato in ogni caso all’unità superiore.

Il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri è la Struttura deputata ad espletare le funzioni di monitoraggio e di vigilanza sull’attuazione della normativa al fine di assicurare il raggiungimento di un’adeguata rappresentatività di genere nelle attività economiche e una più incisiva presenza femminile nella governance delle imprese (articolo 4 del d.p.r. 251/2012).

A tal proposito, il Dipartimento per le Pari Opportunità ha attivato la casella di posta elettronica certificata segreteria.interventipariop@pec.governo.it, attraverso la quale le società ricadenti nell’ambito di applicazione del citato decreto (articolo 4, commi 2 e 3) dovranno comunicare la composizione degli organi sociali entro 15 giorni dalla data di nomina degli stessi o dalla data di sostituzione in caso di modificazione della composizione in corso di mandato.

Qualora venga accertato il mancato rispetto della quota il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato per le pari opportunità diffiderà la società a ripristinare l’equilibrio tra i generi entro 60 giorni.

In caso di inottemperanza alla diffida è fissato un ulteriore termine di 60 giorni decorso il quale, ove la società non provveda ad adeguarsi, i componenti dell’organo decadranno.

Il Consiglio di Stato con parere 594/2014 ha chiarito che alle società in cui nessuna amministrazione ha da sola il controllo si applicano la Legge 120/2011 e il d.p.r. 251/2012 qualora sussista il “controllo congiunto”.

Più precisamente, il controllo societario ex art. 2359 può ritenersi unitariamente realizzato da più amministrazioni pubbliche quando:

 gli organi decisionali della società controllata sono composti da rappresentanti delle pubbliche amministrazioni. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni partecipanti;

 le pubbliche amministrazioni congiuntamente – grazie ad accordi tra loro o a comportamenti paralleli – dispongono della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria (controllo di diritto), ovvero di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria (controllo di fatto), oppure esercitano congiuntamente sulla società un’influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali con esse;

 la persona giuridica non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni controllanti.

Non è invece sufficiente la mera titolarità pubblica della maggioranza di capitale, essendo tale elemento, da solo, estraneo all’art. 2359 c.c.

Analoghe considerazioni si applicano anche alle società a partecipazione c.c. “mista”, ovverosia partecipate anche da privati.

Appare infine opportuno richiamare quanto statuito dal Consiglio di Stato nella recentissima sentenza n. 3144 del 23 giugno 2014, con la quale ha dichiarato legittima la composizione della Giunta comunale benché non rispettasse la parità di genere, in quanto nessuna norma dello Statuto Comunale non disponeva né predetermina alcun vincolo specifico in ordine alla composizione degli organi di governo comunale.

I magistrati amministrati amministrativi hanno ricordato che l’art. 51, comma 1, Cost., non può che ritenersi (nella parte che legittima le c.d. azioni positive, che il legislatore deve, però, formulare in concreto) norma meramente programmatica, com’è evidente dal tenore letterale della disposizione, la quale così stabilisce che “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

Facendo riferimento tale disposizione costituzionale ad “appositi provvedimenti” per l’applicazione del principio, è evidente che in mancanza di appositi provvedimenti di carattere attuativo il principio non può trovare concreta ed immediata applicazione; al contrario, un carattere immediatamente precettivo può essere individuato solo nella sua accezione negativa, ovvero nel cd. divieto di discriminazione tra i sessi.

Secondo il Consiglio di Stato, “non può ritenersi mutato siffatto quadro giurisprudenziale alla luce della sopravvenienza della legge 215-2012. (…) Anche il nuovo disposto di cui all’art. 6, comma 3, del TUEL (d. lgs. n. 267-2000), novellato nel senso che gli statuti debbano ora “garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte”, non è rilevante, poiché esso implica che, per il futuro, non potranno più ammettersi giunte monogenere, al di fuori del caso estremo di concreta e motivata impossibilità di assicurare tale presenza, imponendo la compresenza dei generi, ma non anche il loro riequilibrio, rimesso all’autonomia statutaria dell’Ente in base a quanto sopra argomentato”.

 


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