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Legittima la revoca del CdA delle società pubbliche solo per inadempienze gestionali


E’ illegittima la revoca degli amministratori di una partecipata disposta per non aver ottemperato a direttive impartite dal comune e agli indirizzi formulati dall’assemblea, perché sono carenze che non determinano necessariamente inadempienze gestionali nella direzione dell’azienda.

Al fine di integrare una giusta causa di revoca del mandato, le condotte che violano il rapporto di fiducia sono di per se irrilevanti se non sono oggettivamente valutabili come fatti idonei a mettere in forse le capacità gestionali degli amministratori.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23381 depositata il 15 ottobre 2013, ha ritenuto che i membri del consiglio di amministrazione di una società controllata da un comune che hanno posto in essere condotte che attestavano chiaramente il venir meno del rapporto di fiducia con l’assemblea de soci, non possano essere revocati perché, affinché possa essere disposta la revoca per giusta causa, tali azioni devono indicare oggettivamente un’inadempienza nelle capacità gestionali degli amministratori.

Nel caso di specie, un comune, socio di maggioranza di una spa costituita per l’organizzazione e la gestione del servizio di nettezza urbana, aveva chiesto la convocazione dell’assemblea per deliberare la revoca degli amministratori in carica in quanto avevano disatteso, tra l’altro, gli indirizzi approvati dall’assemblea e le direttive approvate dal consiglio comunale.

L’assemblea ha deliberato la revoca degli amministratori e uno di questi ha chiesto la condanna della società al risarcimento dei danni ex art. 2383 c.c., comma 3, per l’assenza di giusta causa.

La società ha evidenziato che gli amministratori avevano adottato condotte in contrasto con quanto deliberato dall’ente socio di maggioranza, facendo venir meno il rapporto di fiducia tra assemblea e l’organo gestionale.

Gli amministratori avevano, tra l’altro, respinto la richiesta presentata da alcuni consiglieri comunali di accedere agli atti della società, non avevano ottemperato a direttive impartite alla società dal comune socio di maggioranza, avevano proposto due citazioni in giudizio per crediti vantati dalla società ma contestati dall’ente socio, non avevano adempiuto agli indirizzi formulati dall’assemblea, non avevano presentato la propria situazione reddituale e la relazione semestrale che erano state espressamente indicate nell’atto di affidamento del servizio a favore della società.

Sia il tribunale che la corte d’appello hanno dato ragione all’amministratore revocato e la società ha presentato ricorso davanti alla corte di cassazione.

La società ha evidenziato che la peculiare qualità di organismo partecipato dalla pubblica amministrazione impone necessariamente un’attenzione specifica al soddisfacimento dell’interesse del socio pubblico da parte degli amministratori.

La corte di cassazione ha chiarito che gli amministratori di una società a partecipazione pubblica non sono tenuti a rispettare le direttive dell’ente pubblico, a derogare alla disciplina relativa all’accesso agli atti della società o a privilegiare l’interesse del socio pubblico nei rapporti con la società se tali condizioni non sono state espressamente previste nello statuto della società.

La società, benché partecipata da un ente pubblico, è assoggettata alla disciplina del codice civile, il quale non riconosce a favore delle società pubbliche specifiche deroghe o disposizioni peculiari in virtù della presenza di uno o più soci pubblici.

I giudici di legittimità hanno anche precisato che l’inottemperanza agli obblighi derivanti dal bando di incarico o dalle direttive indicate dall’assemblea non sono condotte che automaticamente producono inadempienze nella gestione della società, se non qualificate come tali dagli strumenti di controllo e gestione approvati dagli enti soci.

La corte di cassazione ha chiarito che l’accertamento della giusta causa di revoca dell’amministratore da parte dell’assemblea di società di capitali, ai sensi dell’art. 2383 c.c., non può riguardare l’accertamento dell’eventuale logoramento del rapporto di fiducia derivante da comportamenti ostili posti in essere dagli amministratori nei confronti della maggioranza che li ha eletti.

Tale valutazione è estranea alla normativa societaria che non riconosce agli amministratori l’obbligo di agire nell’interesse dei singoli soci, ma della società.

Secondo la disciplina civilistica, la revoca degli amministratori può avvenire solo quando i fatti contestati siano oggettivamente idonei a mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore, non quando facciano venir meno il rapporto fiduciario con l’assemblea dei soci.

Nel caso di specie, in assenza di alcuna specifica disciplina negli atti societari approvati dall’ente socio, i fatti contestati, benché lesivi del pactum fiduciae, non avevano la qualità di indicatori di un comportamento inadempiente, o inadeguato, sotto il profilo delle capacità gestionali, degli amministratori, pertanto, gli amministratori non potevano essere revocati.

La corte di cassazione ha così condannato la società pubblica al risarcimento del danno a favore dell’amministratore revocato.

In tal caso, addirittura, il comportamento dell’ente locale potrebbe essere sanzionato anche dalla corte dei conti sotto due aspetti:

–        per la mancata tutela dell’interesse pubblico nell’agire con gli strumenti del diritto societario;

–        per il danno arrecato alla società derivante dall’obbligo del risarcimento a favore del soggetto revocato.


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