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Attività culturali e fondazioni: alcuni interessanti chiarimenti dalla Corte dei Conti


La Corte dei Conti ha aumentato negli ultimi anni l’attenzione verso le fondazioni costituite da enti locali, non mostrando particolare favore verso tale modello organizzativo.

I magistrati contabili hanno sempre posto l’attenzione sulla natura giuridica di tali organismi, quali enti morali riconosciuti, dotati di personalità giuridica, disciplinati dal codice civile, che hanno quale elemento costitutivo essenziale l’esistenza di un “patrimonio” destinato alla soddisfazione di uno “scopo” di carattere ideale (artt. 14 e segg.).

Il “patrimonio” non è solo elemento costitutivo della fondazione, ma “è la caratteristica che distingue e differenzia questo istituto dall’associazione, che ha quale elemento essenziale la personalità della partecipazione di una pluralità di soggetti, finalizzata al raggiungimento di uno scopo”, come chiarito anche dalla Corte dei Conti, sez. contr. del Piemonte, nella deliberazione n. 24/2012.

Le fondazioni, come anche riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale, hanno natura privata e sono espressione delle “organizzazioni delle libertà sociali”, costituendo i cosiddetti corpi intermedi, che si collocano fra Stato e mercato, e che trovano nel principio di sussidiarietà orizzontale, di cui all’ultimo comma dell’articolo 118 della Costituzione, un preciso richiamo e presidio rispetto all’intervento pubblico (Corte Cost., sentenza n. 300/2003 e n. 301/2003).

I magistrati contabili hanno evidenziato che la caratteristica essenziale della fondazione è l’esistenza di un patrimonio che deve consentirle di svolgere l’attività ordinaria.

Si tratta di un requisito essenziale, tant’è che, ove il patrimonio non sia sufficiente per raggiungere lo scopo o addirittura venga meno, il codice civile prevede che la fondazione si estingua (art. 27 cod. civ.) e che il suo residuo patrimonio sia trasferito a soggetti che abbiano una finalità analoga (art. 31 cod. civ.), a meno che la competente autorità non provveda alla trasformazione della fondazione in altro ente (art. 28 cod. civ.).

Secondo il modello tradizionale, la fondazione è tenuta ad utilizzare il reddito derivante dal patrimonio per lo svolgimento della sua ordinaria attività e proseguire la stessa sino a che il patrimonio non si esaurisca o diminuisca in misura tanto significativa da impedire il regolare svolgimento del compito per lo svolgimento del quale è stata istituita.

Nel caso in cui la fondazione sia affidataria di servizi di interesse per la collettività rientranti nelle finalità perseguite dall’ente locale, l’erogazione di un corrispettivo “non equivale ad un depauperamento del patrimonio comunale, a fronte dell’utilità che l’ente locale (e più in generale la collettività di cui è esponenziale) riceve dallo svolgimento del servizio di interesse pubblico effettuato dal soggetto terzo” (Corte Conti, sez. contr. Lombardia, del. 350/2012).

Tali vincoli evidenziati dalla magistratura contabile sono stati recepiti dal legislatore con l’articolo 4 del d.l. 95/2012.

Tale disposizione stabilisce che “dal 1° gennaio 2013 le p.a. di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 possono acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile esclusivamente in base a procedure previste dalla normativa nazionale in conformità con la disciplina comunitaria”.

Gli enti di diritto privato di cui agli artt. 13-42 del codice civile che forniscono servizi a favore dell’amministrazione stessa, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche”.

Sono escluse da tali vincoli, tra gli altri,:

–        le fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l’alta formazione tecnologica;

–        gli enti e le associazioni operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e dei beni ed attività culturali, dell’istruzione e della formazione;

A tal proposito, è opportuno evidenziare quanto chiarito dalla Corte dei Conti, sez. controllo della Puglia, nella deliberazione n. 97/2012, pubblicata sul sito della sezione il 1° febbraio 2013.

Alla Corte si è rivolto un ente per avere chiarimenti sull’applicabilità dell’articolo 4, comma 6, della spending review a una fondazione costituita da enti locali e regione per “valorizzare il territorio soprattutto attraverso la musica popolare e la cultura”.

L’attività essenziale della fondazione si sostanzia nell’organizzazione e gestione di un noto evento musicale e la stessa riceve dagli enti aderenti quote annuali costituenti il fondo di gestione e, per quanto attiene l’organizzazione dell’evento, contributi finanziari pubblici che coprono il suo fabbisogno per più del 90%.

L’ente ha chiesto se l’attività svolta dalla fondazione possa essere qualificata come servizio e se sussista la possibilità di mantenere forme di contribuzione a favore della Fondazione “quantomeno nei limiti delle attività meramente culturali svolte attraverso di essa”.

La Corte dei Conti ha fornito interessanti chiarimenti sulla natura “culturale” di un servizio.

I magistrati contabili hanno precisato che costituiscono “indici presuntivi” di tale natura il fatto che la fondazione svolga attività di valorizzazione del “territorio soprattutto attraverso la musica popolare e la cultura”, che, prima della costituzione della stessa fondazione, tale attività fosse organizzata e gestita dai singoli comuni e contabilizzata tra i “servizi culturali” svolti dai stessi.

Si pone come elemento necessario e sufficiente a dirimere il dubbio “se un ente sia o meno da ricomprendere nel novero degli “esclusi” (dai vincoli di cui all’articolo 4 del d.l. 95/2012), il fatto che sia possibile ravvisare, all’interno dello statuto o dell’oggetto sociale dell’ente medesimo, il carattere culturale dell’attività svolta che può estrinsecarsi, tra l’altro, anche come finalità di valorizzare al massimo la realtà culturale del territorio di pertinenza delle amministrazioni che ricevono il servizio”.

Nella misura in cui una fondazione svolga attività di:

–        approfondimento e valorizzazione di una realtà culturale, anche attraverso l’organizzazione di un evento a ciò deputato;

–        realizzi attività di studio, approfondimento e conservazione delle tradizioni e culture locali;

–        promuova il territorio attraverso la valorizzazione del patrimonio culturale locale”,

“difficilmente potrà considerarsi come rientrante nell’ambito applicativo della norma di divieto su menzionata. Al contrario, essa potrà a buon diritto considerarsi compresa nel novero degli enti operanti nel campo dei beni e attività culturali, come tali esenti dal divieto”.

Il tutto, giova ribadirlo, pur sempre nei limiti delle attività prettamente culturali svolte, venendo meno, in tal caso, la ratio che ha indotto il legislatore a fissare l’elenco dei soggetti esenti da divieto e, di conseguenza, non giustificandosi più l’esclusione dal divieto contenuto nel citato articolo 4 del d.l. 95/2012.


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