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Gare: revoca dell’aggiudicazione per pubblico interesse


E’ legittima la revoca della procedura di gara, dopo l’aggiudicazione provvisoria, sulla base del sopravvenuto motivo di pubblico interesse, derivante da una drastica riduzione dei trasferimenti finanziari ed una nuova valutazione delle esigenze da soddisfare.

Questo il principio sancito dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5282 del 16 ottobre 2012, con la quale ha accolto il ricorso presentato da un’azienda sanitaria avverso l’annullamento della revoca di una procedura aperta per l’affidamento del servizio ristorazione.

Nel caso di specie, l’Azienda sanitaria aveva disposto la revoca dell’intera procedura di gara, dopo aver disposto l’aggiudicazione provvisoria, per conformarsi alle “sopravvenute disposizioni regionali in materia di contenimento della spesa sanitaria” e tener conto dell’avvio del Piano di riordino del sistema sanitario regionale.

Contestualmente, per assicurare la continuità del servizio oggetto dell’affidamento in questione, bandiva due successive procedure negoziate senza pubblicazione del bando, in quanto la prima procedura andava deserta, in attesa della definizione di alcuni procedimenti di riorganizzazione delle Aziende sanitarie regionali.

Avverso tali atti, l’aggiudicataria della prima gara presentava ricorso al Tar, che annullava la delibera di revoca della gara, nonché la successiva delibera d’indizione di nuova gara, ritenendo che la motivazione posta dalla stazione appaltante a fondamento della revoca dell’intera procedura non fosse sostenuta da ragioni sufficienti a giustificare la lesione della posizione giuridica differenziata di cui è titolare l’aggiudicataria provvisoria.

L’Asl ha impugnato la pronuncia davanti al Consiglio di Stato.

In ordine alla possibilità di revoca di una procedura amministrativa, ai sensi dell’art. 21 quinquies, L. n. 241/1990 i presupposti che, in via alternativa, possono legittimare l’adozione di un provvedimento di revoca da parte dell’Autorità competente sono tre: sopravvenuti motivi di pubblico interesse; il mutamento della situazione di fatto; una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.

L’ordinamento ammette quindi la revoca di provvedimenti amministrativi diventati inopportuni in base a nuove circostanze sopravvenute ed anche per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.

La ratio di tale istituto è, dunque, l’incompatibilità fra il perdurare degli effetti di un provvedimento già adottato ed interessi ritenuto dalla P.A. preminenti.

La revoca è finalizzata alla rivalutazione dell’interesse pubblico: essa è espressione di amministrazione attiva, che si realizza, con effetto ex nunc, modificando un rapporto precedentemente creato attraverso l’emanazione di un atto amministrativo.

Nella fattispecie in esame, secondo i giudici amministrativi, il potere revocatorio deve ritenersi legittimamente esercitato, rispetto ai motivi dedotti, essendo state esplicitate le ragioni di opportunità, derivanti anche dalla drastica riduzione dei trasferimenti finanziari alla Asl ed una nuova valutazione delle esigenze da soddisfare.

In ordine alla tutela dell’affidamento, l’art. 21- quinquies, comma 1, L. 241/1990, introdotto dalla L. 15/2005, prevede che “ove la revoca comporta un pregiudizio in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo”.

L’obbligo di indennizzo gravante sulla Pubblica Amministrazione, come previsto e definito nella sua misura dall’art. 21- quinquies, non presuppone elementi di responsabilità della stessa, ma si fonda su valori puramente equitativi considerati dal legislatore, onde consentire il giusto bilanciamento tra il perseguimento dell’interesse pubblico attuale da parte dell’amministrazione e la sfera patrimoniale del destinatario (incolpevole) dell’atto di revoca, cui non possono essere addossati integralmente i conseguenti sacrifici.

Per questo motivo il legislatore, mentre ha riconosciuto alla stazione appaltante la facoltà di sottrarsi all’obbligo di contrarre, quando la procedura di scelta del contraente non ha raggiunto l’obiettivo di assicurare l’economicità ed il buon andamento dell’azione amministrativa, nella diversa ipotesi dello “ius poenitendi”, in osservanza dei principi di correttezza e di tutela dell’affidamento del soggetto inciso dal ritiro del provvedimento ed a bilanciamento dei contrapposti interessi, se la revoca comporta pregiudizi in danno degli interessati, ha posto a carico della P. A. l’obbligo di provvedere al loro indennizzo.

Invero, in giurisprudenza sussiste un contrasto di posizioni in ordine alla spettanza di una qualsiasi forma di risarcimento o di indennizzo per un’aggiudicazione provvisoria, successivamente annullata con provvedimento ritenuto legittimo.

Una delle novità introdotte dal Codice dei Contratti pubblici è stata l’espressa previsione dell’articolazione della fase dell’aggiudicazione in provvisoria e definitiva.

Come si desume dagli articoli 11 e 12, infatti, la stazione appaltante seleziona il miglior offerente e dichiara a suo favore l’aggiudicazione provvisoria, poi, previa approvazione da parte dell’organo competente, dispone l’aggiudicazione definitiva che, però, diventa efficace solo dopo la verifica del possesso dei requisiti prescritti in capo all’aggiudicatario.

L’aggiudicazione provvisoria, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, è atto della Commissione di gara con cui essa individua l’offerta migliore secondo il criterio di selezione adottato e chiude la procedura di valutazione delle offerte.

L’aggiudicazione definitiva, invece, è l’atto adottato dal competente organo della stazione appaltante, previo controllo e approvazione degli atti del seggio di gara. Si tratta di un atto non meramente confermativo o esecutivo dell’aggiudicazione provvisoria, in quanto anche qualora ne condivide e ne recepisce interamente i risultati, presuppone una nuova e autonoma valutazione da parte dell’organo competente alla sua adozione.

Secondo un orientamento, l’aggiudicatario non ha né diritto ad un risarcimento danni eventualmente patiti, non essendo il provvedimento di aggiudicazione provvisoria, un atto idoneo ad ingenerare un qualunque affidamento tutelabile in capo allo stesso, né diritto all’indennizzo previsto dall’articolo 21-quinquies che presuppone un provvedimento di revoca di un provvedimento definitivo ad effetti durevoli, mentre il provvedimento di aggiudicazione provvisoria è un atto di natura endoprocedimentale (Cons. Stato, sez. VI, sent. 195/2012; Cons. Stato, sez. V, sent. 7000/2011).

Di tutt’altro avviso altra parte dei giudici amministrativi, secondo i quali l’esercizio dei poteri di autotutela da parte dell’amministrazione appaltante, benché legittimo, può far insorgere obblighi risarcitori, allorché il comportamento tenuto dall’Amministrazione abbia leso l’affidamento dei concorrenti negli atti revocati o annullati e, per tale via, si sia posto in contrasto con le regole di correttezza e buona fede di cui all’art. 1337 cod. civ. In tal caso, l’aggiudicatario sarà portatore di un danno che la stazione appaltante ha l’obbligo di risarcire a titolo di responsabilità precontrattuale (Cons. Stato, Ad. Plen., sent. 6/2005).

Relativamente al caso di specie, il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, tenendo conto dell’orientamento sopra richiamato, ha riconosciuto la sussistenza del diritto ad un equo indennizzo all’aggiudicataria a titolo di ristoro per aver incolpevolmente confidato nel buon esito della gara, sebbene la procedura si fosse arrestata nel provvedimento di aggiudicazione provvisoria.


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