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Personale: il trasferimento del personale dal Comune ad altro Ente non può comportare svantaggi retributivi


Corte di giustizia europea, Grande sezione, n. C-108/10
di Alessio Tavanti

Il personale trasferito dall’amministrazione comunale ad altro Ente non può subire un peggioramento retributivo sostanziale.

Questo il principio affermato dalla Corte di giustizia europea con la sentenza in commento del 6 settembre 2011, con la quale si è espressa in merito all’applicabilità della disciplina comunitaria al trasferimento di personale tra P.A. e al conseguente riconoscimento di diritti di carattere retributivo maturati presso l’Ente cedente.

Nel caso di specie, una dipendente aveva svolto per circa venti anni attività lavorativa in qualità di bidella.

Con l’entrata in vigore della Legge n. 124/99, dal 1° gennaio 2000, la dipendente era stata trasferita allo Stato e inquadrata, ai sensi del Dm. 5 aprile 2001, in una fascia retributiva corrispondente a nove anni di anzianità.

Tale inquadramento aveva determinato uno svantaggio economico notevole.

La dipendente aveva pertanto adito il Tribunale per ottenere il riconoscimento integrale dell’anzianità di servizio e il conseguente inquadramento.

Il Tribunale aveva sospeso il procedimento e sottoposto la questione alla Corte di giustizia europea, chiedendo se la riassunzione da parte di una P.A. del personale dipendente di un altro Ente pubblico costituisca un “trasferimento di impresa” con conseguente mantenimento dei diritti dei lavoratori.

La Direttiva n. 77/187, applicabile al caso di specie, concerneva i “trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione”.

La Corte europea, sulla base della consolidata giurisprudenza comunitaria, ha affermato che  nel concetto di trasferimento d’impresa è possibile far rientrare anche la riassunzione da parte di una pubblica autorità, del personale dipendente di un altro Ente pubblico.

Per quanto riguarda la possibilità di riconoscere al dipendente trasferito le posizioni di vantaggio conseguite presso l’Ente cedente e i relativi diritti di carattere economico, la Corte ha chiarito che l’art. 3, n. 1, della citata Direttiva deve essere interpretato nel senso che “per il calcolo di diritti di natura pecuniaria, il cessionario è tenuto a prendere in considerazione tutti gli anni di servizio effettuati dal personale trasferito nella misura in cui quest’obbligo risultava dal rapporto di lavoro che vincolava tale personale al cedente e conformemente alle modalità pattuite nell’ambito di detto rapporto” (CGE, sent. 14 settembre 2000, causa C-343/98, Collino e Chiappero).

La Corte ha precisato che il cessionario è tenuto a mantenere le condizioni di lavoro precedentemente previste dal contratto collettivo del cedente, fino alla data della sua risoluzione o scadenza o dell’entrata in vigore o applicazione di un altro contratto collettivo.

Gli Stati membri possono limitare il periodo di mantenimento delle condizioni di lavoro, purché esso non sia inferiore ad un anno.

Secondo la Corte, pertanto, la disciplina che si applicava prima del trasferimento può cessare entro un anno successivo al trasferimento o immediatamente alla data del trasferimento, quando si realizzi la risoluzione o la scadenza del contratto collettivo oppure l’entrata in vigore o l’applicazione di un altro contratto collettivo.

Pertanto, la citata norma della Direttiva n. 77/187, secondo cui “il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente, fino alla data (…) [di] applicazione di un altro contratto collettivo”, dev’essere interpretata nel senso che il cessionario ha il diritto di applicare sin dalla data del trasferimento, le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione.

Pur restando nella disponibilità del cessionario stabilire l’integrazione retributiva dei lavoratori trasferiti in modo da adattarla alle circostanze del trasferimento, le modalità scelte devono impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento (CGE, sent. 26 maggio 2005, causa C-478/03, Celtec; CGE, causa C-386/09, Briot).

Pertanto, il ricorso alla facoltà di sostituire, con effetto immediato, le condizioni di cui godevano i lavoratori trasferiti in base al Ccnl. vigente presso il cedente con quelle previste da quello applicato dal cessionario non può avere un effetto peggiorativo delle condizioni dei lavoratori.

Nel caso di specie, gli atti che avevano dato esecuzione al trasferimento avevano stabilito la contestuale applicazione del Ccnl. Scuola, senza il riconoscimento del trattamento retributivo corrispondente all’anzianità lavorativa maturata presso l’Amministrazione cedente.

Il Ministero aveva, infatti, calcolato per ciascun lavoratore trasferito un’anzianità “fittizia”, che aveva inciso in modo determinante nella fissazione delle condizioni retributive a essi applicabili. Secondo la Corte di giustizia europea questa è una situazione ingiustificabile, data l’analogia e l’identità di compiti svolti dal personale trasferito rispetto a quelli svolti alle dipendenze del Ministero, che giustificava il riconoscimento dell’anzianità maturata in modo equivalente.

Pertanto, al fine di evitare che i dipendenti trasferiti subiscano un peggioramento retributivo, è necessario tener conto dell’anzianità maturata presso la P.A. cedente nei limiti necessari al mantenimento del livello retributivo precedentemente goduto dai lavoratori coinvolti (CGE, sent. 11 novembre 2004, causa C-425/02, Delahaye).

La Corte ha quindi ribadito che in caso di trasferimento di personale ai sensi della direttiva 77/187 con conseguente immediata applicazione, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario, le cui condizioni retributive siano collegate all’anzianità lavorativa, non è consentito un peggioramento retributivo per i dipendenti coinvolti per il mancato riconoscimento dell’anzianità maturata presso il cedente.

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