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Personale: è punibile per truffa e rischia la reclusione il dipendente che omette di timbrare il cartellino


Corte di Cassazione, II sez. penale, 3 maggio 2011, n. 17096
di Federica Caponi
Pubblicato su HC News n. 21 del 25/05/2011,
Su Guida al Pubblico Impiego n. 6 del 2011,
su Il Sole 24 ORE newsletter 7:24 del 27/06
su Human Capitol 6/2011
e su Aziendaitalia n. 6 2011

Rischia una condanna per truffa e per interruzione di pubblico servizio il dipendente pubblico che esce per la pausa pranzo senza timbrare il cartellino.

E’ punibile con la reclusione dir un anno e una multa il dipendente di una P.A. che, oltre ad arrivare in ritardo e anticipare l’uscita, andava a pranzo senza timbrare.

L’omessa timbratura non esclude l’esistenza di artifici e raggiri, oltreché dell’ingiusto profitto con altrui danno.

Tale comportamento infatti realizza una frode diretta contro l’Ente pubblico, soprattutto quando il pagamento delle retribuzioni avvenga in forma automatica con la lettura dei cartellini orari da parte di un elaboratore.

Ne consegue che la mancata timbratura del cartellino costituisce un espediente idoneo ad evitare che la P.A., attraverso i sistemi automatizzati di calcolo delle retribuzioni, non accorgendosi dell’ anomalia, continui a pagare al dipendente l’intera retribuzione.

Questi i principi chiariti dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento con la quale ha respinto il ricorso presentato da un dipendente di un’Azienda sanitaria che era stato condannato per truffa continuata per essersi più volte allontanato dal luogo di lavoro durante la pausa pranzo senza timbrare l’uscita.

Il caso

La questione sottoposta al vaglio della suprema Corte di legittimità ha riguardato il caso di un dipendente di un’azienda sanitaria che era stato scoperto a uscire in orario di lavoro senza timbrare.

I diretti superiori e i colleghi erano a conoscenza del fatto che egli usciva per la pausa- pranzo, non nascondendo il fatto di non timbrare il cartellino in uscita e al rientro, facendo apparire falsamente di aver prestato la propria attività lavorativa per un numero di ore giornaliere superiore a quelle effettive.

Il dipendente era stato condannato dal Tribunale, in primo grado, e successivamente dalla Corte d’appello a un anno di reclusione, al pagamento di una multa di € 500 e al risarcimento del danno a favore della P.A., datore di lavoro.

L’interessato ha così presentato ricorso di fronte alla Corte di Cassazione, sostenendo che la sua condotta omissiva non avrebbe dato luogo a artifici e raggiri, perché la mancata timbratura del cartellino non poteva essere considerata un espediente per simulare il rispetto dell’orario di lavoro allo scopo di ottenere indebitamente il pagamento dell’intera retribuzione, in quanto lo stesso avrebbe avuto comunque diritto all’intera retribuzione per aver lavorato il numero di ore minime settimanali previste dal contratto collettivo, a prescindere dal rispetto di un orario continuato o spezzato per l’assenza durante la pausa pranzo.

Secondo il dipendente quindi vi sarebbe stata assenza del danno nei confronti della P.A. datore di lavoro, avendo lo stesso compensato l’assenza in pausa pranzo con la presenza pomeridiana.

La soluzione

La Corte di Cassazione ha preliminarmente chiarito che in merito al presunto vizio di motivazione della sentenza della Corte d’Appello, evidenziato dal dipendente che ha promosso il ricorso, in realtà, lo stesso ha proposto censure di merito, prospettando una valutazione delle prove e dei fatti diversa da quella effettuata dai giudici di merito e non consentita in sede di legittimità in quanto le argomentazioni della Corte territoriale, poste a fondamento della decisione, sono esenti dal vizio di manifesta illogicità e sono compatibili con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.

I giudici d’appello avevano rilevato, in particolare, che dalla ricostruzione dei fatti era emerso che il dipendente si assentava “abitualmente dal lavoro, nell’orario di pranzo, senza timbrare il cartellino in uscita e al rientro” configurandosi indiscutibilmente il reato di truffa continuata in danno di ente pubblico.

In particolare, i giudici di merito avevano evidenziato che il dipendente non aveva contestato tale ricostruzione e non aveva neppure provato di aver lavorato oltre l’orario stabilito e per un numero di ore esattamente pari a quelle in cui si era indebitamente assentato senza timbrare il cartellino.

Inoltre, se pure i diretti superiori e i colleghi erano a conoscenza del fatto che il dipendente usciva per la pausa-pranzo, non nascondendo il fatto di non timbrare il cartellino in uscita e al rientro, non poteva escludersi la sussistenza degli artici e raggiri, tenuto conto che “l’Ente pubblico è spersonalizzato, che la frode era diretta contro l’Ente pubblico e che il pagamento delle retribuzioni avveniva in forma automatica”.

La Corte di Cassazione, pertanto, ha confermato che la mancata timbratura del cartellino ha costituito un espediente idoneo a evitare che la P.A., attraverso i sistemi automatizzati di calcolo delle retribuzioni, non si accorgesse dell’anomalia e continuasse a pagare l’intera retribuzione.

La condotta del dipendente è stata rilevante anche ai fini del reato di interruzione di pubblico servizio (ex art. 340 c.p.), considerato, anche in base alla giurisprudenza in materia della stessa Corte di Cassazione, la sistematicità dei ritardi del dipendente a prendere servizio e l’assenza alle riunioni del settore di appartenenza.

I giudici di legittimità hanno anche ribadito che l’eventuale disponibilità da parte dei colleghi a supplire alle assenze e ritardi del dipendente non rileva ai fini della condotta penalmente sanzionata.

Il turbamento non irrilevante del servizio è stato, peraltro, contestato con riferimento all’interruzione del servizio “per completa scopertura – dello stesso – non essendovi, in tal casi, altri medici presenti presso la struttura”.

La Corte di Cassazione ha infatti ravvisato la ratio del reato di cui all’art. 340 c.p. nella tutela non solo dell’effettivo funzionamento di un servizio pubblico, ma anche nell’ordinato svolgimento di esso.

Pertanto, ai fini della sussistenza dell’elemento oggettivo non ha rilievo che l’interruzione sia stata solo temporanea o che si sia trattato di un mero turbamento nel regolare svolgimento del servizio stesso (Cass. sent. n. 44845/07; n. 24068/01).

Problemi e aspettative

La sentenza della Corte di Cassazione attiene a una questione delicata, che è stata anche oggetto di un intervento recente del Legislatore.

Il Dlgs. n. 150/09, la così detta Riforma Brunetta, ha infatti introdotto gli artt. 55-quater (Licenziamento disciplinare) e 55- quinquies (False attestazioni o certificazioni) al Dlgs. n. 165/01, che attribuiscono rilievo, dal punto di vista disciplinare, alla falsa presenza in servizio attestata anche attraverso l’omessa timbratura del cartellino presenza.

In particolare, la norma che disciplina alcune nuove fattispecie di licenziamento disciplinare ha stabilito che “si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento – in caso di – falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente”, mentre l’art. 55-quinquies ha previsto che “fermo quanto previsto dal codice penale, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente (…) è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600”.

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha chiarito che il dipendente pubblico che esce senza timbrare il cartellino presenze commette il reato di truffa e di interruzione di pubblico servizio, in quanto l’omessa timbratura non esclude l’esistenza di artifici e raggiri, oltreché dell’ingiusto profitto con altrui danno.

Tale comportamento è il frutto di una condotta fraudolenta in danno alla P.A. datore di lavoro, considerato che ormai il pagamento delle retribuzioni avviene automaticamente con la lettura dei cartellini orari da parte di strumenti elettronici.

E’ necessario evidenziare che la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 32290/10, aveva già avuto modo di chiarire che la falsa attestazione del pubblico dipendente, circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, costituisse una condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l’Amministrazione di appartenenza circa la presenza sul luogo di lavoro, suscettibile pertanto di integrare il reato di truffa.

In tale pronuncia però ha precisato che nel caso in cui i periodi di assenza non siano “economicamente apprezzabili”, quando ad esempio le assenze siano limitate a poche ore, deve essere riconosciuta a favore del dipendente “l’attenuante del valore lieve”.

Nel caso di specie, i giudici di Piazza Cavour, confermando la condanna per truffa, hanno infatti riconosciuto al dipendente il diritto a uno sconto di pena, date le assenze limitate a poche ore ed accertate solo in poche occasioni.

E’ infine necessario ricordare comunque che indipendentemente dall’eventuale rilievo penale di tali comportamenti, sicuramente ne hanno da un punto di vista disciplinare.

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