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Appalti: è legittima la risoluzione del contratto se l’aggiudicataria prima dell’inizio alza il prezzo


Tar Sardegna, Sez. I, Sentenza n. 51/10
di Chiara Zaccagnini

L’Ente può risolvere il contratto d’appalto se prima di iniziare i lavori l’aggiudicataria chiede nuove risorse finanziarie per realizzare il progetto.

Questo è quanto ha affermato il Tar Sardegna nella sentenza in commento, con la quale ha rigettato il ricorso presentato da un’Ati avverso l’atto di revoca dell’aggiudicazione.

Nel caso di specie, un Comune aveva indetto una procedura di gara per la realizzazione di un impianto fotovoltaico in alcuni edifici comunali, aggiudicata ad una ditta che aveva presentato uno studio approfondito del progetto.

Successivamente l’aggiudicataria aveva evidenziato al responsabile del procedimento e al direttore dei lavori alcune difficoltà operative, scaturenti, da presunte carenze progettuali.

Il responsabile del procedimento, conseguentemente, aveva disposto la revoca dell’aggiudicazione in quanto l’aggiudicataria avrebbe violato il principio di buona fede, affidando tali lavori alla seconda classificata.

L’interessata ha presentato ricorso avverso la revoca.

L’Amministrazione ha sostenuto che la revoca dell’aggiudicazione era stata disposta in quanto l’appaltatore era venuto meno al principio di buona fede, a cui devono uniformarsi le parti, sia nella fase delle trattative, che in quella del contratto.

Sempre secondo l’Amministrazione, il principio di buona fede era stato violato in quanto l’aggiudicataria aveva presentato in sede di gara una dichiarazione sostitutiva, ai sensi del Dpr. n. 445/00, nella quale era stata attestata l’adeguatezza e la realizzabilità del progetto in base al prezzo offerto, verificata sulla base di uno studio approfondito.

Con nota successiva all’aggiudicazione, l’Ati aveva negato la validità del progetto che aveva presentato in sede di gara, chiedendo l’immediata compilazione di una perizia di variante.

Il Tar ha rilevato che l’aggiudicataria non ha iniziato immediatamente i lavori a seguito della consegna, sollevando eccezioni fittizie in ordine alla realizzabilità del progetto esecutivo posto a base di gara, pretendendo, in sostanza, modifiche progettuali mediante l’approvazione di una perizia di variante.

Il Tar ha ricordato che la buona fede contrattuale, sotto il profilo comportamentale, impone che l’atteggiamento tenuto dalle parti nei rispettivi confronti sia improntato a lealtà e collaborazione, “doveri inderogabili di solidarietà”, di cui all’art. 2 Cost., nonché agli artt. 1173, 1175 e 1375 c.c..

La buona fede, pertanto, obbliga ciascun contraente a tenere un comportamento tale da non pregiudicare, anzi, da salvaguardare il ragionevole interesse dell’altra, quando ciò non comporti a carico di una delle parti alcun apprezzabile e ingiusto sacrificio.

Pertanto, deve ritenersi contrario alla buona fede anche il comportamento di colui che esercita i propri diritti in modo formalmente lecito, ma sostanzialmente sleale e dannoso per la controparte o che, assumendo un comportamento incoerente, delude il legittimo altrui affidamento.

L’aggiudicataria, secondo i giudici, è quindi venuta meno all’obbligo di lealtà di condotta che deve regolare sia l’esecuzione del contratto, che la sua formazione e interpretazione, assistendolo in ogni sua fase.

Il Tar ha così rigettato il ricorso, dichiarando legittima la risoluzione del contratto disposta dalla stazione appaltante, in quanto l’aggiudicatario prima di iniziare i lavori aveva chiesto la modifica del progetto a fronte di nuove risorse finanziarie per realizzarlo.

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