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Società miste: non sono vincolate ai limiti del Decreto Bersani


Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza n. 77 dell’11 gennaio 2011
Pubblicato su Diritto e Pratica Amministrativa n. 3 – 2011
di Federica Caponi, Consulente di enti pubblici e società partecipate

Società miste – Affidatarie di servizi strumentali – Partecipazione a gare indette da P.A. non socie – Violazione art. 13 del Dl. n. 223/06 – Non sussiste

Le società miste, a prevalenza pubblica, affidatarie di servizi strumentali da parte degli Enti soci, possono partecipare alle gare indette da altre P.A. non socie, perché presentando differenti caratteristiche giuridiche e un diverso modello organizzativo rispetto alle strumentali e, pertanto, non sono assoggettate ai vincoli dell’art. 13 del Dl. Bersani.

Società miste – Oggetto sociale non esclusivo – Possibilità di gestione di servizi pubblici e strumentali – Sussiste

Le società miste non devono necessariamente avere un oggetto sociale esclusivo e limitato soltanto allo svolgimento di servizi pubblici o strumentali, in quanto soggetti giuridici di diritto privato che devono operare sul mercato nel pieno rispetto delle regole della concorrenza, potendo conseguire l’aggiudicazione da parte di altri soggetti pubblici o privati sia di servizi pubblici, che di servizi strumentali.

Le società miste, partecipate dagli Enti Locali, non sono assoggettate ai vincoli dell’art. 13 del Dl. n. 223/06, in quanto presentano differenti caratteristiche giuridiche e un diverso modello organizzativo rispetto alle strumentali, che non consentono alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato.

Pertanto, tali organismi possono gestire sia servizi pubblici, che servizi strumentali.

Questo il principio affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 77, depositata l’11 gennaio 2011, con la quale è stato accolto il ricorso presentato da una società mista, partecipata in via maggioritaria da una Provincia, avverso l’atto di esclusione da una procedura di gara disposto da un Comune.

Nel caso di specie, l’Ente aveva indetto una procedura pubblica per l’affidamento di un servizio, aggiudicato in via provvisoria ad una società mista.

Il Comune aveva successivamente escluso l’aggiudicataria, ritenendo operante nei confronti della stessa il divieto di cui all’art. 13 del Bersani, in quanto partecipata da una P.A. e abilitata per statuto a gestire servizi pubblici locali e altre attività strumentali e funzionali all’Ente socio.

La società esclusa aveva promosso ricorso di fronte al Tar, il quale aveva ritenuto pienamente legittimo l’operato della stazione appaltante.

La società ha così presentato ricorso al Consiglio di Stato, che l’ha accolto, ritenendo illegittima l’esclusione dalla gara disposta dal Comune.

La questione di fondo

La problematica affrontata dal Consiglio di Stato riveste particolare interesse e attiene alla controversa interpretazione dell’art. 13 del Dl. n. 223/06.

Tale disposizione stabilisce che le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dagli Enti pubblici regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali Enti o per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare con gli Enti soci e non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto, né con gare e devono avere un oggetto sociale esclusivo.

Tale norma è stata oggetto di particolare attenzione da parte degli interpreti, anche per la difficoltà di individuare una precisa definizione di servizio strumentale, al fine di poter delineare quali organismi societari siano assoggettati agli stringenti vincoli imposti dalla stessa.

Il Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, ha ritenuto non applicabile la citata disposizione alle società miste, in quanto la composizione del capitale sociale misto, pubblico-privato, renderebbe le stesse ontologicamente volte ad operare sul mercato e, quindi, anche a conseguire l’aggiudicazione di servizi pubblici locali o strumentali.

Per tali caratteristiche, quindi, alle società miste non si applicherebbe il vincolo di esclusività dell’oggetto sociale e le stesse potrebbero gestire contestualmente servizi pubblici e strumentali.

Secondo il Consiglio di Stato, infatti, la previsione contenuta nel citato art. 13 dovrebbe essere riferita ai soli soggetti destinatari di affidamenti in house e, cioè, a società a capitale interamente pubblico.

Tale interpretazione sorprende in quanto non appare in linea con il dettato legislativo dell’art. 13 del citato dl. n. 223/06, il quale richiama espressamente “le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche (…) per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti, in funzione della loro attività”.

Tali disposizioni “definiscono il proprio ambito di applicazione, non secondo il titolo giuridico in base al quale le società operano, ma in relazione all’oggetto sociale di queste ultime” (Corte Cost., sent. n. 326/08).

Tale norma è fondata sulla distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica e attività d’impresa di Enti pubblici.

L’una e l’altra possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse.

Nel primo caso, vi è attività amministrativa di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una P.A.

Nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza.

Le due sfere di attività devono essere separate per evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d’impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto Ente pubblico.

La ratio seguita dal Legislatore è infatti quella di tutelare la concorrenza e di evitare che soggetti, dotati di privilegi indipendentemente dalla composizione della compagine sociale, operino in mercati concorrenziali.

L’approfondimento

In merito all’ambito di applicazione dell’art. 13 del Dl. n. 223/06, si sono formate negli anni, sostanzialmente, tre diverse linee interpretative.

Una è quella seguita dal Consiglio di Stato nella pronuncia in commento, che ritiene tale norma applicabile soltanto a società interamente pubbliche (cioè soltanto alle in house), affidatarie di servizi strumentali, mentre non si applicherebbe alle società miste e a quelle costituite per la gestione di servizi pubblici, nel senso che quest’ultime potrebbero avere un oggetto sociale “misto”, potendo quindi gestire sia servizi pubblici che strumentali.

“Le società che svolgono servizi pubblici locali, partecipate integralmente o in parte dagli enti locali anche per altri fini, non devono avere un oggetto sociale esclusivo e non sono soggette alle limitazioni imposte dall’art. 13” (Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 4346/09).

Società “strumentali” sarebbero soltanto quelle in house ove il particolare legame, che lega tali organismi alle P.A. socie, giustificherebbe l’affidamento diretto delle attività.

Soltanto tali organismi, operando in deroga ai principi di concorrenza, non discriminazione e trasparenza, sarebbero assoggettati ai vincoli dell’art. 13 del Bersani, in quanto sarebbero le uniche a creare distorsioni sul mercato.

Sarebbe esclusa, al contrario, “ogni limitazione alla facoltà dei soggetti pubblici fornitori di servizi pubblici di partecipare alle gare pubbliche” (Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 6325/04).

La totale diversità delle attività svolte dalle società di servizi pubblici e da quelle strumentali escluderebbe che quelle di servizi pubblici dovessero avere un “oggetto sociale esclusivo”.

Tale vincolo sarebbe giustificato soltanto per le strumentali, ma non per le società miste che, oltre ai pubblici servizi, potrebbero quindi “svolgere altre attività imprenditoriali, sia pure con limitazioni volte a non snaturarne il loro ruolo istituzionale” (cit. Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 6325/04).

Tale interpretazione non appare condivisibile perché contrasta con il dato testuale della citata norma.

L’ambito di applicazione dell’art. 13 deve essere individuato, non in base alla costituzione del capitale delle società, né al titolo giuridico che giustifica l’affidamento a queste ultime del servizio, ma in relazione all’oggetto sociale di tali organismi.

Una secondo tesi sostiene che la differenza tra servizi strumentali e pubblici locali dovrebbe essere individuata non oggettivamente, sulla base cioè della natura dell’attività o servizio di cui si discute, ma in base all’oggetto della gara, inteso come modello gestionale prescelto per l’affidamento dell’attività messa a gara (appalto o concessione).

Tale interpretazione prende spunto da quanto chiarito dalle S.U. della Corte di Cassazione nella sentenza n. 71/00, secondo cui sarebbero servizi pubblici le prestazioni rese alla generalità degli utenti da un soggetto pubblico o privato (che si sostituisce al primo), in forza di un contratto di concessione.

Ogni qual volta un servizio sia realizzato da un soggetto terzo a favore della collettiva, ma l’attività sia remunerata direttamente e totalmente dall’Ente pubblico, saremmo dentro “optimo jure nel divieto sancito dal richiamato art. 13 Dl. n. 223/06” (Tar Lombardia, Sez. I, sent. n. 6137/08).

Saremmo di fronte invece ad un servizio pubblico locale nel caso in cui il rapporto tra P.A. e affidatario sia regolato in virtù di un rapporto concessorio.

Anche tale teoria non appare condivisibile in quanto, come chiarito anche dal Consiglio di Stato, nella sentenza n. 1651/10 “la qualificazione differenziale tra attività strumentali e gestione di servizi pubblici deve essere riferita non all’oggetto della gara, bensì invece all’oggetto sociale delle imprese partecipanti ad essa”.

Il divieto di fornire prestazioni a Enti terzi, infatti, colpisce le società pubbliche strumentali che esercitano attività amministrativa in forma privatistica, al fine di evitare che le stesse esercitino allo stesso tempo attività d’impresa, beneficiando dei privilegi dei quali possono godere in quanto P.A. (cit. Corte Cost., sent. n. 326/08).

L’ultima tesi ritiene che i vincoli di cui all’art. 13 si applichino alle società in house o miste costitute per la gestione di servizi rivolti a favore dell’Ente socio “per svolgere le funzioni di supporto di tali amministrazioni pubbliche, secondo l’ordinamento amministrativo” e per il perseguimento dei loro fini istituzionali.

Pertanto, i limiti posti da tale disposizione si applicherebbero anche alle società miste, strumentali e non.

Infatti, anche le società miste che abbiano “per oggetto la gestione dei servizi pubblici locali, pur non rientrando in via diretta nell’ambito di applicazione del comma 2 dell’art. 13, dovrebbero avere oggetto sociale esclusivo” (Tar Sardegna, Sez. I, sent. 1371/08).

Se sono assoggettate a tale prescrizione le società strumentali, le quali pertanto non possono comprendere nel loro oggetto sociale lo svolgimento di servizi pubblici locali, “ne deriva come conseguenza che anche le società miste, le quali intendano dedicarsi alla gestione di questi ultimi, devono prevedere quale loro oggetto sociale esclusivo la gestione dei servizi pubblici locali”.

Ove non si ritenesse condivisibile tale soluzione interpretativa, occorrerebbe ammettere che il divieto introdotto dall’art. 13 sarebbe inapplicabile in tutte le ipotesi di società miste che nel loro oggetto sociale avessero incluso sia servizi strumentali che servizi pubblici locali.

In tale prospettiva, la semplice presenza di servizi pubblici renderebbe operante l’eccezione al divieto.

Questa appare una lettura non condivisibile poiché priverebbe l’art. 13 di qualsiasi significato normativo.

Alle procedure di gara pubbliche, indette da soggetti diversi dagli Enti costituenti o partecipanti o affidanti, non potrebbero partecipare né le società miste strumentali, né le società miste che abbiano nel proprio oggetto sociale sia servizi strumentali, che servizi pubblici locali.

Le società miste, per il fatto della presenza di soggetti pubblici nella struttura della partecipazione societaria, sarebbero in grado di provocare quelle alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato, che le norme dell’art. 13 intendono evitare.

Tale tesi appare confermata anche dall’art. 23-bis del Dl. n. 112/08, norma che disciplina l’affidamento dei servizi pubblici locali, la quale al comma 9 prevede espressamente che le società (…) che gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto, servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 2, lett. b) [cioè le società miste, costituite con gara così detta “a doppio oggetto”, con la quale sia stato scelto il socio operativo e sia stato anche contestualmente affidato il servizio] non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare.

Conclusioni

Pertanto, anche nel caso di specie, indipendentemente dal fatto che la società mista fosse stata costituita per l’erogazione di servizi pubblici o di servizi strumentali, non avrebbe potuto partecipare alla gara indetta per l’affidamento di altri servizi da parte di un Ente non socio, ai sensi dell’art. 13 del Dl. n- 223/06 se società strumentale, o ai sensi dell’art. 23-bis comma 8 del Dl. n. 112/08 se società di servizi pubblici.

Al contrario, il Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, ha fornito una diversa lettura delle norme sopra richiamate, ritenendo che per le società miste, in quanto partecipate da un soggetto privato, siano volte al mercato e non producano alterazioni della concorrenza per il loro diverso assetto organizzativo e sono, quindi, escluse dall’applicazione dell’art. 13 del Dl. n. 223/06.

Sintesi

Il fatto

Un Comune aveva indetto una procedura pubblica per l’affidamento di un servizio, aggiudicato in via provvisoria ad una società mista, successivamente esclusa perché ritenuta assoggettata al divieto di cui all’art. 13 del Bersani, in quanto abilitata per statuto a gestire servizi pubblici locali e altre attività strumentali e funzionali all’Ente socio.

La società esclusa aveva promosso ricorso di fronte al Tar, il quale aveva ritenuto pienamente legittimo l’operato della stazione appaltante.

La società ha così presentato ricorso al Consiglio di Stato, che l’ha accolto precisando che le società miste che svolgono servizi pubblici locali non devono necessariamente avere un oggetto sociale esclusivo e limitato soltanto allo svolgimento di detti servizi.

Ciò perché tali società, “in quanto soggetti giuridici di diritto privato, devono comunque operare sul mercato nel pieno rispetto delle regole della concorrenza e possono conseguire l’aggiudicazione di detti servizi pubblici locali solo nel rispetto delle ulteriori regole previste per i contratti pubblici”.

La decisione

Il Consiglio di stato ha chiarito che esisterebbero “differenti caratteristiche giuridiche tra le società c.d. strumentali e delle società c.d.”miste”, differenze che terrebbero “ben distinto il modello organizzativo della società mista da quello dell’in house providing, il tutto, anche con riguardo alla testuale finalità della speciale disciplina limitativa di cui all’art. 13, comma 1 e 2 del citato dl. n. 223/06 ossia alla finalità di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori”.

Pertanto, alle società miste non si applicherebbe il vincolo di esclusività dell’oggetto sociale e le stesse potrebbero gestire contestualmente servizi pubblici e servizi strumentali.

I giudici hanno così accolto il ricorso presentato dalla ricorrente, ritenendo illegittima l’esclusione dalla gara disposta dal Comune.

I precedenti

Le problematiche connesse all’ambito di applicazione dell’art. 13 del Decreto Bersani sono state oggetto di numerose pronunce.

Nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha confermato un orientamento giurisprudenziale secondo cui “le società che svolgono servizi pubblici locali, partecipate integralmente o in parte dagli enti locali anche per altri fini, non devono avere un oggetto sociale esclusivo e non sono soggette alle limitazioni imposte dall’art. 13” (Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 4346/09; Tar Lombardia, Sez. I, sent. 6137/08).

Società “strumentali” sarebbero soltanto quelle in house ove il particolare legame, che lega tali organismi alle P.A. socie, giustificherebbe l’affidamento diretto delle attività, senza previa gara.

Interpretazione non condivisa dallo stesso Consiglio, che in altre pronunce, aveva precisato che tali vincoli si applicano alle società in house o miste costitute per la gestione di servizi rivolti a favore dell’Ente socio “per svolgere le funzioni di supporto di tali amministrazioni pubbliche, secondo l’ordinamento amministrativo” e per il perseguimento dei loro fini istituzionali (cit. Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 1651/10), attività quindi che per loro stessa natura non possono essere affidate in concessione.

Il vincolo dell’oggetto sociale esclusivo, inoltre, sarebbe applicabile in via diretta alle società strumentali, ma necessariamente tale limite produrrebbe effetti anche sulle società costituite per la gestione dei servizi pubblici.

Anche le società miste che abbiano “per oggetto la gestione dei servizi pubblici locali, pur non rientrando in via diretta nell’ambito di applicazione del comma 2 dell’art. 13, dovrebbero avere oggetto sociale esclusivo” (Tar Sardegna, Sez. I, sent. 1371/08; Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 5214/10).

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