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Non sussiste il reato di peculato in caso di utilizzo arbitrario dell’attività lavorativa del dipendente pubblico


Corte di Cassazione, Sez. VI penale, Sentenza n. 35150/10
di Alessio Tavanti

Il Sindaco che faccia fotocopiare testi, per fini personali, utilizzando materiale di cancelleria e la fotocopiatrice dell’Ente e distogliendo, per tali operazioni, alcuni dipendenti comunali dai loro compiti istituzionali non commette il reato di peculato ex art. 314 c.p..

E’ quanto ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza in commento, con la quale ha accolto il ricorso presentato da un Sindaco avverso la sentenza della Corte d’Appello che sulla base dei fatti sopra menzionati lo aveva condannato per il reato di peculato.

Nel caso di specie, all’esito delle indagini preliminari al ricorrente veniva contestata la suddetta fattispecie penale secondo cui, “il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni” (art 314 c.p.).

In sede di giudizio con rito abbreviato, il Giudice per l’udienza preliminare, discostandosi dall’originaria contestazione, aveva condannato il Sindaco per il reato di abuso d’ufficio.

La sentenza veniva successivamente riformata dalla Corte d’Appello, la quale riqualificava la condotta dell’imputato come rientrante nel reato di peculato.

Il Collegio, nonostante la pacifica materialità del fatto e la mancata dimostrazione della finalità pubblica del materiale fotocopiato, riteneva, tuttavia, non sussistenti gli estremi del reato di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) non ravvisandosi la “violazione di legge o di regolamento” necessaria per la configurabilità di tale fattispecie penale.

Secondo la Corte d’Appello la condotta dell’imputato valeva ad individuare gli estremi del peculato in quanto l’aver utilizzato, a fini personali, sia le energie lavorative dei dipendenti, distolti dai loro compiti istituzionali, che i beni dell’Ente integravano la condotta appropriativa di cui all’art. 314 c.p..

Avverso la sentenza d’appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione lamentando l’erronea applicazione della suddetta norma.

In primo luogo, il ricorrente ha ritenuto non rientrante nel concetto di “cosa mobile”, cui si riferisce la norma, l’appropriazione di “energie lavorative” chiarendo, tuttavia, che era da escludersi detta appropriazione, intesa come “completa sottrazione” di tale energia alla P.A. datore di lavoro, considerato che i dipendenti utilizzati avevano contestualmente continuato a svolgere le loro funzioni istituzionali.

Inoltre, nel caso di specie, difettava l’elemento della patrimonialità richiesto per la sussistenza del reato, stante il modesto valore delle risorse materiali utilizzate per le operazioni di fotocopiatura e rilegatura.

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso dell’imputato.

In particolare, il Giudice di legittimità ha ritenuto non configurabile il reato di peculato nell’utilizzo arbitrario dell’attività lavorativa del pubblico dipendente, anziché a favore della P.A., a beneficio privato di altro pubblico ufficiale nei cui confronti sussiste un vincolo di subordinazione gerarchica.

Infatti, secondo la Corte, non è ipotizzabile l’appropriazione di energia umana in quanto, esulando dal concetto di “cosa mobile” di cui all’art. 314 c.p., non se ne può immaginare il possesso o la disponibilità da parte dell’agente.

Oltretutto, l’utilizzazione dei due dipendenti comunali è stata momentanea e saltuaria e non ha inciso in maniera significativa sul funzionamento della P.A., tanto da derivarne un danno per la stessa e un contestuale apprezzabile e ingiusto vantaggio patrimoniale per il soggetto agente.

Tale considerazione vale ad escludere anche l’eventuale configurabilità dell’abuso d’ufficio.

Per quanto riguarda la questione relativa all’appropriazione di materiale di consumo di pertinenza del Comune, la Corte ha rilevato che per la sussistenza del delitto di peculato la cosa deve avere un apprezzabile valore economico, non rilevando ai fini dell’offensività l’appropriazione di cose di valore esiguo.

Il bene giuridico tutelato dall’art. 314 c.p., infatti, è l’integrità patrimoniale della P.A. e dei privati, integrità che, nel caso in esame, non risultata scalfita dal modestissimo valore economico del materiale utilizzato per le operazioni di fotocopiatura.

In conclusione, la Cassazione ha chiarito che non commette il reato di peculato il pubblico ufficiale che utilizza i dipendenti dell’Ente per fare fotocopie a scopo personale, sia per l’impossibilità del perfezionarsi della condotta appropriativa di “energia umana”, sia per la modesta incidenza patrimoniale dei beni utilizzati.

La Corte di Cassazione ha, quindi, assolto il Sindaco annullando la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

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