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Società partecipate: sono definitivi i vincoli della Manovra correttiva 2010


di Federica Caponi, Consulente di Enti Pubblici e Società partecipate
Pubblicato su Diritto e Pratica Amministrativa n. 9 – 2010 ed. Il Sole 24 Ore

È stata pubblicata sulla G.U. n. 176 del 30 luglio 2010 la Legge n. 122/10 di conversione del Dl. n. 78/10, concernente “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” che ha confermato quasi tutti gli stringenti vincoli contenuti nel Decreto, disponendo anche in materia di società partecipate, di gestione di servizi pubblici e strumentali.

La Legge di conversione è entrata in vigore il 31 luglio scorso.

Di seguito riportiamo le disposizioni che sono state modificate dalla Legge di conversione della Manovra che interessano le società partecipate dagli Enti Locali.

Compensi amministratori

Art. 5 – Economie negli Organi costituzionali, di governo e negli apparati politici

Il comma 5 della norma in commento, confermato dalla Legge di conversione, ha stabilito che ai titolari di cariche elettive per l’esecuzione di qualsiasi incarico conferito dalle P.A., tra cui gli enti locali (ex art. 1, comma 3, Legge n. 196/09), spetta esclusivamente il rimborso delle spese sostenute e eventuali gettoni di presenza non potranno superare l’importo di 30 euro a seduta.

Tale disposizione sembrerebbe applicarsi, ad esempio, ai membri dei Cda delle partecipate, nominati dagli Enti che rivestano cariche elettive (sindaci e consiglieri).

Se così fosse, sembrerebbe “sovrapporsi” al comma 718 della Finanziaria 2007 (norma ancora vigente) che ha stabilito che “l’assunzione, da parte dell’amministratore di un ente locale, della carica di componente degli organi di amministrazione di società di capitali partecipate dallo stesso ente non da titolo alla corresponsione di alcun emolumento a carico della società”.

Pertanto, potremmo considerare prevalente la norma contenuta nella Manovra correttiva 2010 (in quanto di pari rango e successiva a quella con cui si pone in contrasto), che di fatto produrrebbe un effetto contrario a quello voluto, nel senso che dal 1° gennaio 2007 gli amministratori di enti locali nominati nei cda dello loro partecipate non hanno percepito alcun compenso, né rimborsi spesa, né gettoni di presenza, ma dal 31 maggio 2010 potrebbero ricevere questi emolumenti.

La legge di conversione ha modificato l’ultimo inciso del comma 7 della norma in commento, stabilendo che agli amministratori di comunità montane e di unioni di comuni e “comunque di forme associative di enti locali, aventi per oggetto la gestione di servizi e funzioni pubbliche” non possono essere attribuite retribuzioni, gettoni, o indennità o emolumenti in qualsiasi forma siano essi percepiti.

Non potranno più essere erogati, pertanto, gettoni o altro emolumento a favore degli amministratori di comunità montane, unioni di comuni o di altre forme associative tra enti (come ad esempio i consorzi).

Certamente non possono considerarsi comprese nella dizione “forme associative di enti locali” le società di capitali, per i cui amministratori il legislatore ha emanato un’apposita disposizione (art. 6, comma 6).

Il Tuel prevede anche altre forme di gestione “associata” di attività o servizi, oltre ai consorzi, quali ad esempio le Istituzioni o le Aziende speciali, ma per queste non è lecito parlare di “forme associative tra enti locali”, in quanto sono organismi strumentali di un solo ente, “unipersonali o monosoggettivi”.

Pertanto, i membri dei consigli di amministrazione di istituzioni o aziende speciali potranno continuare a percepire gettoni di presenza o indennità, mentre gli amministratori di organismi che gestiscono più funzioni o servizi di diversi enti (quindi probabilmente con maggiori difficoltà e responsabilità) non potranno percepire più alcun emolumento.

Anche questa sembra una norma che non segue del tutto il buon senso.

Compensi ai membri del CdA e trasferimenti da parte degli Enti soci

Art. 6 – Riduzione dei costi degli apparati amministrativi

Il comma 6 della norma in commento, modificato dalla Legge di conversione, ha esteso anche alle partecipazioni totalitarie indirette degli Enti Locali l’obbligo di ridurre del 10% il compenso ai componenti del Cda “e degli organi di controllo” (il Decreto l’aveva previsto solo per le partecipazioni totalitarie dirette e per il collegio sindacale).

Tale riduzione dovrà essere applicata dal primo rinnovo successivo all’entrata in vigore della Legge di conversione.

Il Legislatore ha confermato la norma contenuta nel comma 19, estendendo il vincolo ivi disciplinato anche alle società interamente pubbliche, partecipate indirettamente dalle P.A.

Tale disposizione ha stabilito che gli Enti soci non potranno più effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore delle società, interamente pubbliche partecipate direttamente o indirettamente, non quotate che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali, fatto salvo il caso di necessaria riduzione del capitale al di sotto del limite legale (ex art. 2447 del Codice Civile).

Potranno comunque essere effettuati trasferimenti alle società a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti.

Potranno infine essere effettuati tali interventi al fine di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità, su richiesta dell’Ente interessato, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, assoggettato a registrazione della Corte dei Conti.

Rinnovi contrattuali

Art. 9 – Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico

Il comma 29 della norma in commento ha stabilito che dovranno “adeguare le loro politiche assunzionali” ai nuovi vincoli imposti agli Enti da tale disposizione “le società non quotate, inserite nel conto economico consolidato della P.A., come individuate dall’Istat ai sensi del comma 3, art. 1 della Legge n. 196/09 controllate direttamente o indirettamente dalle P.A.”.

Tale vincolo pertanto si applica soltanto alle società comprese nell’elenco Istat, aggiornato ogni anno al 31 luglio.

Le in house degli Enti Locali fino ad oggi non sono state inserite in tale elenco e se ciò venisse confermato anche quest’anno, tali organismi sarebbero esclusi da tale vincolo.

Società partecipate dai Comuni sotto 30.000 abitanti e dai Comuni con meno di 50.000 abitanti

Art. 14 – Patto di stabilità interno ed altre disposizioni sugli Enti territoriali

Il comma 32 della norma in commento, modificato solo in parte dalla Legge di conversione, ha confermato che i Comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non potranno più costituire società.

Nel caso in cui tali Enti abbiano partecipazioni in società di capitali, costituite prima del 31 maggio 2010, queste dovranno essere messe in liquidazione o cedute entro il 31 dicembre 2011 (e non più entro il 31 dicembre 2010, come previsto nella norma originaria del Decreto).

Tale vincolo non si applica alle società con partecipazione paritaria ovvero proporzionale al numero degli abitanti, costituite da più Comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti.

Per i Comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti è stata confermata la possibilità di detenere una sola partecipazione societaria.

Il Legislatore ha stabilito che tali Enti, nel caso in cui abbiano più di una partecipata, dovranno metterle in liquidazione, entro il 31 dicembre 2011 e non più entro la fine del 2010.

La Legge di conversione ha quindi riconosciuto un anno in più ai Comuni (e solo per loro, infatti tale vincolo non si applica alle Province o alle Regioni) per dismettere le proprie partecipazioni societarie, a meno che gli Enti:

  • sotto 30.000 abitanti, non costituiscano o detengano insieme ad altri Comuni (la cui popolazione complessiva superi i 30.000 residenti) partecipazioni societarie paritarie ovvero proporzionali al numero degli abitanti;
  • con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000, possiedano una sola partecipazione societaria, indipendentemente dal fatto che sia interamente di proprietà del Comune o vi sia una compagine sociale plurisoggettiva. Il Legislatore infatti per tali Enti non ha previsto “eccezioni” derogatorie.

La Legge di conversione ha confermato che, in tale ultima fattispecie, i Comuni potranno soltanto mettere in liquidazione le eventuali ulteriori partecipazioni, non potendo cederle.

Tale possibilità è stata prevista soltanto per gli Enti di minori dimensioni, che potranno scegliere se liquidare le società oppure cederle, potendo in tal caso prevedere eventuali clausole a tutela dei dipendenti, opzione ovviamente non percorribile in caso di messa in liquidazione.

Il Legislatore ha comunque inserito al comma 32 un inciso “di salvaguardia”, stabilendo che con Decreto ministeriale, che dovrà essere emanato entro il 28 ottobre 2010, dovranno essere “determinate le modalità attuative – di tali disposizioni – e potranno essere previste ulteriori ipotesi di esclusione dal relativo ambito di applicazione”.

I Comuni, pertanto, potranno aspettare l’emanazione del Decreto per verificare se saranno costretti a liquidare o cedere le loro partecipazioni societarie.

Tale disposizione ha quindi in parte “alleggerito” la forte presa di posizione assunta dal Legislatore con il Dl. n. 78/10.

Deve essere comunque evidenziato che nel caso in cui il Dm. non dovesse essere emanato (come, tra l’altro, è più volte capitato negli ultimi anni, proprio in materia di società partecipate) i Comuni non potranno ritenersi “svincolati” dal rispetto della norma in commento e dovranno mettere in liquidazione o cedere le partecipazioni che non rispettino le condizioni ivi previste.

Il Decreto, infatti, nonostante la dizione usata dal Legislatore (“sono determinate le modalità attuative”) che potrebbe indurre a qualificarlo come “attuativo” e quindi necessario al fine dell’acquisizione di efficacia della norma, giuridicamente non può assumere tale valenza.

Il comma 32 in commento prevede infatti espressamente che al di fuori dei casi previsti (fatto salvo eventuali ulteriori fattispecie derogatorie introdotte proprio con Dm.) le società debbano essere messe in liquidazione o cedute (comma 32, secondo periodo).

Non è corretto ritenere che la messa in liquidazione o la cessione di tali partecipazioni possa avvenire soltanto a seguito dell’emanazione di un Decreto attuativo.

Tali fattispecie sono espressamente disciplinate dal Codice Civile, in quanto le società partecipate dai Comuni “non perdono la loro natura di Enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro Ente pubblico”, come ha chiarito anche di recente la Corte di Cassazione, Sent. n. 26806/10.

Gestioni associate di servizi

Il Legislatore nei commi 25-31 della norma in commento ha imposto la gestione associata di alcuni servizi comunali.

In particolare, i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, ad eccezione delle isole con un unico comune e del comune di Campione d’Italia, dovranno obbligatoriamente svolgere in forma associata, mediante convenzione o unione, le seguenti funzioni:

a)      generali di amministrazione, di gestione e di controllo;

b)      di polizia locale;

c)      di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l’edilizia scolastica;

d)     funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;

e)      riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia, nonché per il servizio idrico integrato;

f)       del settore sociale.

Tali vincolo di gestione associata si applica anche ai comuni che fanno parte o hanno fatto parte di comunità montane aventi un numero di abitanti che dovrà essere stabilito da legge regionale e comunque inferiore a 3.000 abitanti.

Tale ultimo inciso appare superfluo, avendo già il Legislatore imposto la gestione associata per i comuni sotto 5.000 abitanti, ovviamente tale vincolo si applica anche ai comuni sotto 3.000 abitanti.

Il legislatore ha anche precisato che le funzioni svolte in forma associata non potranno essere esercitate dagli enti singolarmente e che la stessa attività non potrà essere svolta da più forme associate.

Il comma 30 ha demandato alle regioni, nelle materie di loro competenza (art. 117, commi 3 e 4, Cost.), di individuare la dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica per lo svolgimento, in forma obbligatoriamente associata da parte dei comuni con dimensione territoriale inferiore a quella ottimale, delle funzioni sopra richiamate secondo i principi di economicità, di efficienza e di riduzione delle spese, fermo restando quanto stabilito dal citato comma 28.

Nell’ambito della normativa regionale, i comuni dovranno avviare l’esercizio delle funzioni fondamentali in forma associata entro il termine che sarà indicato dalla stessa regione.

Il legislatore ha anche precisato che i comuni capoluogo di provincia e i comuni con una popolazione superiore a 100.000 abitanti “non sono obbligati a svolgere dette funzioni fondamentali in forma associata”.

Tale inciso appare poco chiaro, in quanto l’obbligo di gestione associata è previsto per i comuni con meno di 5.000 abitanti e per quelli  indicati dalle emanande disposizioni regionali.

Tale ultimo inciso semmai pone un limite alla potestà legislativa delle regioni che non potranno prevedere ambiti ottimali superiori a 100.000 abitanti e che dovranno escludere dall’obbligo di gestione associata i comuni capoluogo di provincia, indipendentemente dal numero degli abitanti.

Il comma 31 ha previsto per la gestione di servizi che non rientrano tra le competenze regionali, dovrà essere emanato un Dpcm. entro il 28 agosto (90 giorni dalla data di entrata in vigore del Decreto).

Con tale Decreto dovrebbe essere stabilito, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, anche il limite demografico minimo che l’insieme dei comuni che sono tenuti ad esercitare le funzioni fondamentali in forma associata dovranno raggiungere.

Concessioni idroelettriche

Art. 15 – Pedaggiamento rete autostradale ANAS e canoni di concessione

Il comma 6 ha stabilito che per i comuni e i consorzi dei bacini imbriferi montani, a decorrere dal 1° gennaio 2010, le basi di calcolo dei sovracanoni previsti agli artt. 1 e 2 della Legge n. 925/80, per le concessioni di grande derivazione di acqua per uso idroelettrico, sono fissate rispettivamente in 28,00 euro e 7,00 euro, fermo restando per gli anni a seguire l’aggiornamento biennale.

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