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Appalti: alle gare possono partecipare anche gli Enti non profit


Corte di giustizia europea, sez. VI, 23/12/2009 n. C-305/08
di Alessio Tavanti


Le università e gli enti di ricerca possono partecipare agli appalti pubblici, anche se non perseguono un preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un’impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato, in quanto tali elementi non determinano un’alterazione del mercato.

Questo l’importante principio ribadito dalla Corte di giustizia europea con la sentenza in commento, con la quale si è pronunciata su una questione posta dal Consiglio di stato, in merito all’interpretazione dell’art. 34 del Dlgs. n. 163/06.

Il caso di specie concerneva un procedura di gara, indetta dalla Regione Marche, per l’affidamento di alcuni servizi, alla quale aveva partecipato un consorzio interuniversitario, costituito da Università e da Amministrazioni pubbliche, che era stato escluso dalla gara, in quanto la stazione appaltante aveva ritenuto che non potesse essere qualificato come operatore economico, ex art. 34 Dlgs. n. 163/06.

Il consorzio ha impugnato detta esclusione, sostenendo che la lettura dell’art. 34 del Dlgs. n. 163/06, se inteso come elenco tassativo di soggetti cui possono essere affidati contratti pubblici, e che pertanto lascerebbe fuori le università e gli istituti di ricerca, è da ritenersi incompatibile con la disposizioni della Direttiva 2004/18.

Il Consiglio di Stato, chiamato ad esprimere un parere sulla questione, ha sollevato alcuni dubbi in particolare in merito al fatto che tale consorzio non perseguirebbe scopo di lucro, in quanto le sue finalità istituzionali sarebbero costituite sostanzialmente da attività di ricerca, attività scientifiche e applicative.

Secondo i Giudici amministrativi, quindi, potrebbero non rientrare nella definizione di operatore economico contenuta nel Codice dei contratti, ma un’interpretazione restrittiva di tale nozione, legata alla collocazione stabile del soggetto sul mercato, che impedirebbe quindi alle università, agli istituti di ricerca e ai loro raggruppamenti di partecipare a gare d’appalto, sarebbe però da considerarsi gravemente pregiudizievole per la collaborazione tra entità pubbliche e private e, in definitiva, rappresenterebbe una restrizione della concorrenza.

Tali motivazioni hanno indotto il Consiglio di Stato a sospendere il procedimento e a sottoporre alla Corte di Giustizia europea la questione principale relativa al se un raggruppamento universitario possa essere considerato operatore economico, ai sensi della Direttiva 2004/18/CE e essere ammesso a partecipare ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi.

La Corte Europea ha richiamato, in primo luogo, la disciplina prevista dalla citata Direttiva con riferimento alla nozione di “operatore economico”, dalla quale non è dato riscontrare alcuna distinzione tra gli offerenti a seconda che perseguano o meno scopo di lucro, né tantomeno è prevista espressamente l’esclusione di Enti come il consorzio in questione.

In particolare, l’art. 1, n. 8, primo e secondo comma, riconosce la qualità di “operatore economico” non soltanto a ogni persona fisica o giuridica, ma anche a ogni “Ente pubblico”, nonché ai raggruppamenti costituiti da tali Enti, che offrono servizi sul mercato.

Secondo i Giudici europei, nel concetto di “Ente pubblico” sarebbero inclusi anche organismi che non perseguono un preminente scopo di lucro, che non hanno una struttura d’impresa e che non assicurano una presenza continua sul mercato.

La Corte ha richiamato l’art. 4 della direttiva laddove, affermando il principio di non discriminazione fra persone fisiche e persone giuridiche, “non stabilisce neppure una distinzione tra i candidati o gli offerenti a seconda del fatto che essi abbiano uno status di diritto pubblico oppure di diritto privato”.

Con ciò puntualizzando la totale irrilevanza della natura del soggetto giuridico circa l’analisi della nozione di operatore economico.

Riguardo, poi, alla questione, rilevata dal Consiglio di Stato in ordine alla possibile distorsione del mercato derivante dalla partecipazione di soggetti pubblici a gare di appalto, la Corte afferma che “l’eventualità di una posizione privilegiata di un operatore economico in ragione di finanziamenti pubblici o aiuti di Stato non può giustificare l’esclusione a priori e senza ulteriori analisi di enti, dalla partecipazione a un appalto pubblico”.

Sul punto i giudici, oltre a richiamare la direttiva 2004/18 che impone agli stati membri di provvedere affinché non si producano distorsioni sul mercato a causa della partecipazione di un organismo di diritto pubblico a un appalto pubblico, ha ricordato gli obblighi e le facoltà di cui dispongono le Amministrazioni aggiudicatrici a fronte di offerte anormalmente basse provenienti da offerenti che abbiano ottenuto aiuti di Stato.

Il Legislatore comunitario non ha inteso restringere la nozione di “operatore economico che offre servizi sul mercato” unicamente agli operatori che siano dotati di un’organizzazione d’impresa, né introdurre condizioni particolari atte a porre una limitazione a monte dell’accesso alle procedure di gara in base alla forma giuridica e all’organizzazione interna degli operatori economici.

Interpretazione, del resto, in linea con la consolidata giurisprudenza comunitaria che a più riprese ha affermato che uno degli obiettivi della normativa comunitaria in materia di appalti pubblici è costituito dall’apertura alla concorrenza nella misura più ampia possibile (CGCE, Sent. 13 dicembre 2007, causa C-337/06; CGCE, Sent.19 maggio 2009, causa C-538/07).

Secondo il giudice comunitario, un’interpretazione restrittiva che escluda i soggetti pubblici avrebbe come conseguenza che i contratti conclusi tra Amministrazioni aggiudicatrici e organismi che non agiscono in base a un preminente scopo di lucro non sarebbero considerati come appalti pubblici e non verrebbero assoggettati a procedure ad evidenza pubblica.

Inoltre, aderendo a tale interpretazione, si recherebbe un grave pregiudizio alla collaborazione tra attività di ricerca e attività d’impresa, derivandone come conseguenza una restrizione della concorrenza.

Altra questione sottoposta ai Giudici europei è stata quella relativa a se le richiamate disposizioni della Direttiva 2004/18 siano ostative rispetto alla norma nazionale di recepimento che riservi la partecipazione alle gare ai soli operatori che offrono servizi sul mercato in modo sistematico e a titolo professionale, con esclusione dei soggetti che, come le università e gli istituti di ricerca, non perseguono un preminente scopo di lucro.

La Corte ha osservato che, essendo riservato agli stati membri sia il potere di autorizzare o meno talune categorie di operatori a fornire certi tipi di prestazioni, sia di disciplinare le attività di soggetti, quali le università e gli istituti di ricerca, non aventi finalità di lucro, ma volte principalmente alla didattica e alla ricerca, ne deriva che ove tali soggetti siano autorizzati a offrire taluni servizi sul mercato, la normativa nazionale non può vietare a tali soggetti di partecipare alle gare aventi ad oggetto la prestazione degli stessi servizi.

In tale ipotesi, spetterà al giudice nazionale interpretare il proprio diritto interno in modo quanto più possibile aderente al testo e alle finalità della Direttiva 2004/18, giungendo, eventualmente anche a disapplicare ogni contraria disposizione di legge nazionale (CGCE, Sent.22 dicembre 2008, causa C-414/07).

In conclusione, la Corte europea ha precisato che “le disposizioni della direttiva 2004/18 […] che si riferiscono alla nozione di «operatore economico», devono essere interpretate nel senso che consentono a soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un’impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato, quali le università e gli istituti di ricerca nonché i raggruppamenti costituiti da  e amministrazioni pubbliche, di partecipare ad un appalto pubblico di servizi”.

Inoltre, la stessa direttiva non ammette una normativa nazionale, quale quella dell’art. 34 del Dlgs. n. 163/06, che vieta a soggetti che, come le università e gli istituti di ricerca, non perseguono un preminente scopo di lucro di partecipare a una gara, anche se tali soggetti siano autorizzati dal diritto nazionale ad offrire sul mercato i servizi oggetto dell’appalto stesso.

Pertanto, la norma dell’art. 34 del Codice dei contratti deve essere interpretata estensivamente, ricomprendendovi anche gli Enti non profit, in quanto possono essere in alcuni casi qualificabili come operatori economici.

E’ opportuno ricordare che in linea con l’interpretazione della Corte di giustizia, circa la corretta interpretazione dell’art. 34 del Codice, anche l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, con il Parere n. 119/09 aveva chiarito che le imprese sociali che, secondo la disciplina dettata dal Dlgs. 155/06, sono soggetti senza scopo di lucro, possono partecipare a gare di appalto indette per l’espletamento di un servizio di utilità sociale.

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