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Società partecipate: sono assoggettate alla giurisdizione della Corte dei conti solo in caso di danno diretto causato all’Ente socio


Corte di Cassazione, SS.UU., Sentenza n. 26806/09
di Federica Caponi

Va esclusa la giurisdizione della Corte dei conti sull’attività delle società partecipate dagli Enti pubblici in caso di responsabilità degli amministratori, in quanto le stesse non perdono la loro natura di Enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro Ente pubblico.

Spetta quindi al Giudice ordinario la giurisdizione in ordine all’azione di risarcimento del danno causato da un amministratore di una partecipata, in quanto, considerata la natura giuridica privata della società, non è configurabile né un rapporto di servizio tra l’agente e l’Ente pubblico socio, né un danno alla P.A., idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti.

La scelta della P.A. di acquisire partecipazioni in società private implica, infatti, il loro assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta.

Sussiste, al contrario, la giurisdizione della Corte dei conti quando l’azione di responsabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, in qualità di rappresentante dell’Ente pubblico o titolare del potere di decidere per la P.A., abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio.

In tal modo, pregiudicando il valore della partecipazione o ponendo in essere comportamenti tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell’Ente pubblico (partecipazione strumentale al perseguimento degli interessi pubblici), considerato l’impiego di risorse pubbliche, tale comportamento determina direttamente un danno al patrimonio dell’Ente stesso.

Questo l’importante principio sancito dalla Cassazione a Sezione unite, nella Sentenza in commento, con la quale ha accolto il ricorso presentato da alcuni amministratori di una Spa partecipata da Enti pubblici avverso la pronuncia della Corte dei conti, Sez. Centrale, che li aveva condannati al risarcimento del danno causato in relazione a molteplici condotte illecite tenute dagli stessi, consistenti nell’avere concordato ed accettato indebite dazioni di denaro, al fine di favorire alcune imprese costruttrici nell’aggiudicazione e nella successiva gestione di appalti in danno di società pubbliche.

La Corte dei conti, prima la Sez. Giur. Regionale e poi quella Centrale, aveva infatti ritenuto sussistente la responsabilità amministrativa degli amministratori e di alcuni dipendenti della Spa a partecipazione azionaria pubblica.

Gli amministratori hanno così impugnato la sentenza davanti alla Corte di Cassazione.

I ricorrenti hanno sostenuto che era stato violato l’art. 1 della Legge n. 20/94 e gli artt. 3 e 7 della Legge n. 97/01, in quanto la Corte dei conti aveva affermato la sussistenza della responsabilità amministrativa degli stessi amministratori della Spa a partecipazione pubblica, mentre tale responsabilità non sarebbe stata ipotizzabile, tenuto conto che la stessa società svolgeva attività di impresa su mercati liberi e concorrenziali, esercitata con finalità di lucro e senza finalità pubblicistiche, con conseguente difetto di giurisdizione della Corte dei conti.

Il problema che è stato posto al vaglio della Cassazione attiene alla verifica se agli amministratori e dipendenti di una società, cosiddetta “in mano pubblica”, si applichino le norme di diritto societario o se dalla presenza di capitali pubblici consegua invece l’assoggettamento di questi soggetti alle norme proprie della responsabilità amministrativa, con la conseguente giurisdizione della Corte dei conti.

Il problema non è quello di definire se, come e quando una società “pubblica” risponda, come persona giuridica, per danno erariale ad una P.A., ma si tratta di stabilire sulla base di quale statuto gli amministratori o i dipendenti di un organismo “pubblico” rispondano dei danni ad essa direttamente prodotti ed indirettamente riflessi sulla P.A., in quanto titolare della partecipazione azionaria.

La differenza è rilevante, se si considera che nel primo caso la società “pubblica” è il soggetto responsabile del danno che deve risarcire con il proprio patrimonio sociale, nel secondo caso essa diviene il soggetto danneggiato il cui patrimonio deve essere reintegrato.

La Cassazione ha chiarito che il limite esterno della giurisdizione della Corte dei conti discende dal disposto dell’art. 103, comma 2, della Costituzione, secondo cui “la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”.

Al di fuori delle materie di contabilità pubblica, e quindi anche in tema di responsabilità, occorre dunque che la giurisdizione della Corte dei conti abbia il suo fondamento in una specifica disposizione di legge.

In termini generali, il contenuto ed i limiti della giurisdizione della Corte dei conti in tema di responsabilità trovano la loro base normativa nella previsione dell’art. 13 del Rd. n. 1214/34, secondo cui la Corte giudica sulla responsabilità per danni arrecati all’erario da pubblici funzionari nell’esercizio delle loro funzioni.

Tali limiti sono stati successivamente ampliati dall’art. 1, comma 4, della Legge n. 20/94, che ha esteso il giudizio della Corte dei conti alla responsabilità di amministratori e dipendenti pubblici anche per danni cagionati ad Amministrazioni o Enti pubblici diversi da quelli di appartenenza.

In passato i limiti esterni della giurisdizione della Corte dei conti, al pari di quella del Giudice amministrativo, erano però (relativamente) più agevoli da tracciare.

Era più netta la distinzione tra l’area del pubblico e quella del privato, vi era una normale corrispondenza tra la natura pubblica dell’attività svolta dall’agente ed il suo organico inserimento nei ranghi della P.A., vi era una più agevole demarcazione di confini tra l’agire della P.A. (in forza della potestà pubblica ad essa spettante e per le finalità tipicamente a questa connesse), ed il suo agire invece iure privatorum.

Erano tutti elementi che facilitavano anche l’individuazione dei limiti esterni della giurisdizione della Corte dei conti.

La più recente evoluzione dell’ordinamento ha reso questi confini assai meno chiari, da un lato incanalando sovente le finalità della P.A. in ambiti tipicamente privatistici, dall’altro affidando con maggiore frequenza a soggetti privati la realizzazione di finalità una volta ritenute di pertinenza esclusiva degli organi pubblici.

In quest’ottica anche le SU della Cassazione, per evitare il rischio di un sostanziale svuotamento (o almeno di un grave indebolimento) della giurisdizione della Corte dei conti, ha teso a privilegiare un approccio più “sostanzialistico”, sostituendo ad un criterio eminentemente soggettivo, che identificava l’elemento fondante della giurisdizione della magistratura contabile nella condizione giuridica pubblica dell’agente, un criterio oggettivo che fa leva sulla natura pubblica delle funzioni espletate e delle risorse finanziarie a tal fine adoperate.

Si è perciò affermato che, quando si discute del riparto della giurisdizione tra Corte dei conti e Giudice ordinario, “occorre aver riguardo al rapporto di servizio tra l’agente e la P.A., ma per tale può intendersi anche una relazione con la P.A.”, quando ad un privato (altrimenti estraneo all’Amministrazione) è attribuito il compito di porre in essere un’attività facendo le veci della P.A.

In tal caso, non rileva né la natura giuridica dell’atto di investitura (provvedimento, convenzione o contratto), né quella del soggetto che la riceve, sia essa una persona giuridica o fisica, privata o pubblica.

Secondo la Cassazione, “l’affidamento da parte di un Ente pubblico ad un soggetto esterno, da esso controllato, della gestione di un servizio pubblico integra quindi una relazione funzionale incentrata sull’inserimento del soggetto medesimo nell’organizzazione funzionale dell’Ente stesso e ne implica, conseguentemente, l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale, a prescindere dalla natura privatistica dello stesso soggetto e dello strumento contrattuale con il quale si sia costituito ed attuato il rapporto”.

A tal fine, non rileva neppure che l’estraneo sia investito solo di fatto dello svolgimento di una data attività in favore della P.A., né che il denaro sia gestito con moduli contabili di tipo pubblico o secondo procedure di rendicontazione proprie della giurisdizione contabile in senso strett.

Lo stesso vale per l’accertamento della responsabilità erariale conseguente all’illecito o indebito utilizzo, da parte di una società privata, di finanziamenti pubblici o per la responsabilità in cui può incorrere il concessionario privato, di un pubblico servizio o di un’opera pubblica, quando la concessione investe il privato dell’esercizio di funzioni obiettivamente pubbliche, attribuendogli la qualifica di organo indiretto dell’Amministrazione, per cui egli agisce per le finalità proprie di quest’ultima.

Per tali motivi dal 2003 le SU della Cassazione hanno ritenuto spettare alla Corte dei conti la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto la responsabilità di privati funzionari di Enti pubblici economici (quali, ad esempio, i consorzi per la gestione di opere) anche per i danni conseguenti allo svolgimento dell’ordinaria attività imprenditoriale e non soltanto per quelli cagionati nell’espletamento di funzioni pubbliche o comunque di poteri pubblicistici.

Si esercita attività amministrativa, infatti, “non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall’ordinamento, si perseguono le finalità istituzionali proprie dell’Amministrazione pubblica mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato”.

Il dato essenziale, pertanto, che radica la giurisdizione della magistratura contabile “è rappresentato dall’evento dannoso verificatosi a carico di una P.A. e non più dal quadro di riferimento – pubblico o privato – nel quale sì colloca la condotta produttiva del danno”.

Per quanto riguarda le Spa a partecipazione pubblica, il Codice Civile dedica solo alcune scarne disposizioni, oggi contenute nell’art. 2449, essendo stato abrogato l’art. 2450.

Secondo la Cassazione, comunque, tali residue disposizioni “non valgono a configurare uno statuto speciale per dette società”, considerato che il comma 2, del citato art. 2449, ha previsto che anche i componenti degli organi amministrativi e di controllo di nomina pubblica “hanno i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall’assemblea”.

La scelta della P.A. di acquisire partecipazioni in società private implica il suo assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta.

Dall’identità dei diritti e degli obblighi facenti capo ai componenti degli organi sociali di una società a partecipazione pubblica, pur quando direttamente designati dal socio pubblico, discende la responsabilità di tali organi nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi in genere, nei medesimi termini in cui sono configurabili per gli amministratori e per gli organi di controllo di qualsivoglia altra società privata.

L’art. 16-bis della Legge n. 31/08 ha stabilito che “per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre Amministrazioni o di Enti pubblici, inferiore al 50%, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario”.

Assume inoltre rilievo decisivo la distinzione tra la responsabilità in cui gli organi sociali possono incorrere nei confronti della società e la responsabilità che essi possono assumere direttamente nei confronti di singoli soci o terzi.

Nel caso in cui pertanto sia dimostrata la responsabilità dell’amministratore, o del componente di organi di controllo, di una società partecipata dall’Ente pubblico, che abbia causato direttamente con la propria condotta, un danno all’Ente socio, vi è senza dubbio la competenza della magistratura contabile.

In tal caso non rileva la natura di tale responsabilità, che sia extracontrattuale o se pur sempre presupponga la violazione di un preesistente obbligo di corretto comportamento dell’amministratore e del componente dell’organo di controllo anche nei diretti confronti di ciascun singolo socio.

Quel che rileva è:

–        la presenza dell’Ente pubblico in qualità di socio;

–        il fatto che la sua partecipazione sia strumentale al perseguimento di finalità pubbliche;

–        che tale partecipazione abbia implicato l’impiego di denaro pubblico;

–        che la condotta degli organi della società abbia direttamente cagionato un pregiudizio al patrimonio dell’Ente socio.

Un esempio tipico è il danno all’immagine dell’Ente pubblico causato da atti illegittimi posti in essere dagli organi della società partecipata.

Tale danno “può eventualmente prodursi immediatamente in capo all’Ente pubblico, per il fatto stesso di essere partecipe di una società in cui quei comportamenti illegittimi si siano manifestati, e che non s’identifica con il mero riflesso di un pregiudizio arrecato al patrimonio sociale”, indipendentemente dall’essere o meno configurabile e risarcibile anche un autonomo e distinto danno all’ immagine della società stessa.

Al contrario, non sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nel caso in cui l’azione sia proposta per reagire ad un danno cagionato al patrimonio della società.

Non solo, infatti, non è configurabile alcun rapporto di servizio tra l’Ente pubblico partecipante e l’amministratore (o componente di un organo di controllo) della società partecipata, il cui patrimonio sia stato leso dall’atto di mala gestio, ma neppure sussiste in tale ipotesi un danno qualificabile come danno erariale, inteso come pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro Ente pubblico che della suindicata società sia socio.

La distinzione tra la personalità giuridica della società di capitali e quella dei singoli soci e la piena autonomia patrimoniale dell’una rispetto agli altri non consentono di riferire al patrimonio del socio pubblico il danno che l’illegittimo comportamento degli organi sociali abbia eventualmente arrecato al patrimonio dell’Ente: patrimonio che è e resta privato.

E’ vero che il danno sofferto dal patrimonio della società è per lo più destinato a ripercuotersi anche sui soci, incidendo negativamente sul valore o sulla redditività della loro quota di partecipazione, ma il sistema del diritto societario impone di tener ben distinti i danni direttamente inferti al patrimonio del socio (o del terzo) da quelli che siano il mero riflesso di danni sofferti dalla società.

Dei danni diretti, cioè di quelli prodotti immediatamente nella sfera giuridico-patrimoniale del socio e che non consistano nella semplice ripercussione di un danno inferto alla società, solo il socio stesso è legittimato a dolersi.

Al contrario, di quelli sociali solo alla società compete il risarcimento, di modo che per il socio anche il ristoro è destinato a realizzarsi unicamente nella medesima maniera indiretta in cui si è prodotto il suo pregiudizio.

Pertanto, secondo la Cassazione, “il danno inferto dagli organi della società al patrimonio sociale non è idoneo a configurare anche un’ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti, perché non implica alcun danno erariale, bensì unicamente un danno sofferto da un soggetto privato (appunto la società), riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci – pubblici o privati – i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione ed i cui originari conferimenti restano confusi ed assorbiti nell’unico patrimonio sociale”.

La giurisdizione della Corte dei conti è configurabile nei confronti di chi, all’interno dell’Ente pubblico partecipante, ometta di adottare, essendo chiamato a farlo, un comportamento volto all’esercizio da parte del socio pubblico dell’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori, con conseguente danno della società partecipata e, dunque, dell’Ente pubblico partecipante.

Rientra altresì nella giurisdizione della Corte dei conti l’azione di responsabilità per il danno arrecato all’immagine dell’Ente da organi della società partecipata.

Infatti, tale danno, anche se non comporta apparentemente una diminuzione patrimoniale alla P.A. è suscettibile di una valutazione economica finalizzata al ripristino del bene giuridico leso.

Infine, in tema di responsabilità per danno erariale, la Cassazione ha chiarito che l’esistenza di un rapporto di servizio non è limitata al rapporto organico o al rapporto di impiego pubblico, ma è configurabile anche quando il soggetto, benché estraneo alla P.A., venga investito, anche di fatto, dello svolgimento, in modo continuativo, di una determinata attività in favore della P.A., con inserimento nell’organizzazione della medesima, e con particolari vincoli ed obblighi diretti ad assicurare la rispondenza dell’attività stessa alle esigenze generali cui è preordinata.

La Cassazione ha ritenuto nel caso di specie non sussistente la giurisdizione della Corte dei conti, in quanto l’azione degli amministratori e dei dipendenti della società pubblica ha causato un danno al patrimonio della società stessa e non un danno diretto all’Ente pubblico socio e ha pertanto accolto il ricorso presentato dagli amministratori della società.

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