Entra in area riservata:
Entra in area riservata:
 

Concorso: non commette reato il Sindaco che disegna su misura del candidato il profilo di accesso all’impiego


Corte di Cassazione, Sez. VI, Sent. n. 4979 dell’8 febbraio 2010
di Chiara Zaccagnini
vedi anche il supplemento
“Guida al Pubblico Impiego” n. 5 del Sole 24 Ore.

Non costituisce reato d’abuso d’ufficio la condotta attraverso la quale, prima dell’indizione di un concorso per l’attribuzione di una carica di pubblico ufficiale, venga costruito un profilo ad hoc tale da rendere a priori noto il candidato prescelto, qualora si dimostri che tale azione è stata diretta, in buona fede, al perseguimento dell’interesse pubblico.

Questo è il principio affermato dalla Corte di Cassazione nella Sentenza in commento, con la quale ha annullato la decisione della Corte d’appello, che aveva condannato il Sindaco e il vicesindaco in quanto avevano cambiato le regole del concorso per Comandante della polizia municipale, al fine di scegliere un candidato di polso e di esperienza.

Nel caso di specie, il Sindaco e un funzionario del Comune erano stati rinviati a giudizio in ordine al reato di abuso d’ufficio per avere, in cooperazione tra loro e con alcuni componenti della Giunta, indetto un concorso per il posto di Comandante della Polizia municipale, dopo aver apportato alcune modifiche al regolamento comunale al fine di consentire l’assunzione di un determinato soggetto.

Gli atti erano stati impugnati in primo grado davanti al Tribunale, che aveva ritenuto insussistente il reato di abuso d’ufficio, assolvendo il Sindaco e il Funzionario.

Tale decisione era stata impugnata dinanzi alla Corte d’appello, la quale aveva riformato parzialmente la contestata sentenza, riconoscendo la responsabilità del Sindaco, del funzionario e confermando l’assoluzione dei componenti della Giunta.

Secondo i Giudici d’appello, gli imputati avrebbero posto in essere condotte volte a favorire un soggetto nello svolgimento del concorso, violando il principio di imparzialità dell’Amministrazione, di cui all’art. 97 Cost..

Gli imputati hanno, successivamente, proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando l’erronea applicazione dell’art. 323 c.p. e la non violazione dell’art. 97 Cost., in quanto la valorizzazione del servizio svolto, rispetto al titolo di studio, costituiva una scelta funzionale, non finalizzata al favoreggiamento del soggetto, ma all’individuazione, mediante procedura concorsuale, di una persona in grado di risolvere la situazione di contrasti interni che si era venuta a creare all’interno del Corpo di polizia municipale.

Inoltre, i ricorrenti hanno evidenziato come nel bando non erano stati presi in considerazione neanche i pareri richiesti all’avvocato in merito alla valutazione del titolo di studio.

Nel reato di abuso d’ufficio è richiesto il dolo c.d. intenzionale, nel senso che l’agente deve aver agito proprio per perseguire uno degli eventi tipici della fattispecie incriminatrice, ossia l’ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri, ovvero l’altrui danno ingiusto.

Non è sufficiente che il soggetto agisca con dolo diretto, cioè che si rappresenti l’evento come verificabile, né che agisca con dolo eventuale, accettando il rischio del suo verificarsi, ma è necessario che l’evento di danno o il vantaggio sia voluto come obiettivo della sua condotta, come conseguenza diretta e immediata dell’azione posta in essere.

L’attuale formulazione dell’art. 323 c.p. attribuisce rilevanza al conseguimento del fine, ritenendo esclusa la sussistenza del reato nel caso in cui manchi la prova che l’uno o l’altro evento realizzato costituisse il fine perseguito dall’agente.

Nel caso di specie, la scelta di “disegnare” un profilo del candidato che valorizzasse l’esperienza, anziché i titoli di studio, rispondeva a determinate esigenze dell’Amministrazione comunale, dettate da situazioni di necessità.

In questo modo, l’Amministrazione non ha agito allo scopo di porre in essere una situazione di vantaggio per il soggetto, ma ha realizzato azioni rivolte al perseguimento dell’interesse pubblico.

Per tali motivi, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo legittimi gli atti del Comune con i quali era stato indetto un concorso e il bando in cui veniva “privilegiato un profilo di candidato” che valorizzava l’esperienza professionale di un determinato soggetto.

Pubblicato in Senza categoria

Richiedi informazioni