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Piano delle alienazioni: può costituire variante urbanistica solo se rispetta l’iter procedurale regionale


Corte Costituzionale, Sentenza n. 340 del 30 dicembre 2009
di Alessio Tavanti

Le disposizioni contenute nell’art. 58, comma 2, del Dl. n. 112/08, convertito in Legge n. 133/08,  nella parte in cui prevedono che  la Delibera del Consiglio Comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari assuma valore di variante allo strumento urbanistico generale (senza subordinazione al controllo degli Enti sovraordinati),  sono  lesive delle prerogative regionali costituzionalmente riconosciute.

E’ quanto affermato dalla Corte costituzionale nella Sentenza in commento, con la quale ha dichiarato la parziale incostituzionalità della norma del Dl. n. 112/08.

La  Consulta, nel caso di specie, è stata investita, in via principale, della questione di legittimità costituzionale promossa dalle Regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Marche e Toscana concernente fra le altre l’art. 58,  sopra citato, in relazione agli artt. 117 e 118 Cost.

Secondo le Regioni ricorrenti le suddette norme avessero introdotto una procedura semplificata ed autoapplicativa,  che permette ai Comuni di effettuare una ricognizione delle loro proprietà, non più utili a fini istituzionali, inserendole in un piano di dismissione, come “patrimonio disponibile”; e contestualmente deciderne una nuova destinazione, con effetto di automatica variante urbanistica, prescindendo persino dalle disposizioni contenute nei piani territoriali delle Regioni e delle Province,  alle quali pertanto non residuerebbe alcun reale potere di valutazione od opposizione.

Da ciò discenderebbe l’illegittimità costituzionale della suddetta norma,  la cui previsione, ad avviso delle ricorrenti, trascenderebbe i limiti delle potestà normative statali concorrenti in materia di coordinamento della finanza pubblica e di governo del territorio (ex art. 117 Cost.),  consistenti nel dettare i principi fondamentali della materia, con riserva alle Regioni riguardo alla disciplina di dettaglio (in tal senso, C. Cost n. 401/07).

Ciò, pertanto, comporterebbe una lesione delle competenze regionali, non eliminata neppure dalla successiva previsione di “forme alternative di valorizzazione dei beni” (art. 58, comma 7), in quanto tale norma non impedirebbe la vanificazione degli atti di pianificazione territoriale regionale.

Al contrario, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sostenuto che la disciplina dettata dal Legislatore, lungi dal comportare il superamento,  da parte dello Stato, dei limiti della competenza legislativa ad esso riservata.

La disciplina, oggetto di censura, al contrario sarebbe espressione del potere dello Stato di fissare nuove linee ordinamentali ed organizzative idonee a conferire un’incidenza profonda e stabile sull’assetto del territorio.

In particolare, il Legislatore statale, attraverso la norma impugnata, se da un lato intende perseguire la finalità di procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di Regioni ed Enti Locali,  allo stesso tempo mira a favorire l’incremento delle entrate locali mediante la valorizzazione di beni immobili, non strumentali all’esercizio delle funzioni istituzionali, con l’ulteriore previsione dell’eliminazione dei tempi procedurali per le varianti urbanistiche che la normativa impugnata ricollega, come effetto automatico, al piano delle alienazioni e valorizzazioni.

Il Giudice delle leggi, ha accolto il ricorso ritenendo fondata la questione relativa all’illegittimità costituzionale dell’art. 58, comma 2, in quanto tale norma priva le Regioni del potere di controllo sul territorio.

In particolare, ha precisato la Corte che, nonostante la ratio dell’art. 58 ricomprenda profili attinenti alla materia del “coordinamento della finanza pubblica”, stante la finalità di alienazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare degli Enti, appare indubbio, con riferimento al comma 2, il carattere prevalente della materia “governo del territorio”, rientrante nella competenza ripartita tra lo Stato e le Regioni, avuto riguardo all’effetto di variante allo strumento urbanistico generale, attribuito alla Delibera Comunale che approva il piano di alienazione e valorizzazione.

Tali materie, secondo il riparto di competenze di cui all’art. 117, comma 3, ultimo periodo, della Cost., rientrano nell’ambito della legislazione concorrente tra Stato e Regioni, per cui allo Stato spetta il potere di fissare i principi fondamentali, restando alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio, ossia di individuare gli strumenti concreti da utilizzare in attuazione dei suddetti principi (ex plurimis: C.Cost.  nn. 237 e 200 del 2009).

Nel caso di specie, tuttavia, il rispetto di tali prerogative era venuto meno in quanto la norma in esame, “stabilendo l’effetto di variante sopra indicato ed escludendo che la variante stessa debba essere sottoposta a verifiche di conformità, con l’eccezione dei casi previsti nell’ultima parte della disposizione (la quale pure contempla percentuali volumetriche e termini specifici), introduce una disciplina che non è finalizzata a prescrivere criteri ed obiettivi, ma si risolve in una normativa dettagliata che non lascia spazi d’intervento al legislatore regionale, ponendosi così in contrasto con il menzionato parametro costituzionale“.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 58, comma 2, del Dl. n. 112/08 per contrasto con l’art. 117, comma 3, Cost.

La Corte ha però fatto salva la proposizione iniziale del comma 2, secondo cui “L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica“, in quanto tale classificazione rappresenta un mero effetto legale, conseguente all’accertamento che si tratta di beni non strumentali all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’Ente, che non incide sulla successiva destinazione urbanistica.

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