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Affidamenti in house: come cambia il ruolo dell’Antitrust


 

di Federica Caponi

La legge di conversione del “decreto Ronchi” ha nuovamente modificato le regole per l’affidamento in house dei servizi pubblici a rilevanza economica, limitando anche il ruolo dell’antitrust.

Il nuovo dispositivo ha confermato che nel caso in cui sussistano le condizioni legittimanti l’affidamento diretto di servizi (peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento), l’ente debba chiedere il parere preventivo all’antistrust, assoggettando tale richiesta all’istituto del silenzio-assenso.

E’ stato stabilito infatti che nel caso in cui l’autorità garante per la concorrenza ed il mercato non risponda entro sessanta giorni dalla richiesta inviata dall’Ente, il parere si intende positivo.

Il previgente art. 23-bis, in vigore fino al 25 settembre, stabiliva soltanto l’obbligo per gli enti di chiedere il parere, nulla disponendo in caso di mancata risposta nei termini da parte dell’antitrust.

Inoltre, il dl 135/09, entrato in vigore il 26 settembre scorso, aveva demandato all’autority la potestà di individuare la soglia al di sotto della quale non sarebbe stato più obbligatorio chiedere il parere prima dell’affidamento diretto.

L’autorità, di fatto, avrebbe dovuto individuare il valore ritenuto “non rilevante” per il mercato.

In tali casi “sotto soglia”, gli Enti avrebbero potuto deliberare l’affidamento diretto del servizio alla propria in house senza la necessità del parere dell’antitrust, ammendo per tali fattispecie il ritorno al modello organizzativo dell’in house previsto dall’art. 113 del tuel.

Il nuovo comma 4-bis dell’art. 23-bis, introdotto dalla legge di conversione del dl Ronchi, toglie all’antitrust tale potestà, affidandola al Governo.

Il ruolo dell’antitrust è stato quindi sostanzialmente ridotto, nonostante, forse, proprio grazie all’intervento dell’autority i servizi pubblici si erano da un anno a questa parte avvicinati concretamente al mercato e alla concorrenza.

Al contempo, è vero che è apparso sempre più difficile per gli enti locali utilizzare l’in house per i servizi a rilevanza economica, considerato che l’autorità fino ad oggi ha emesso un solo parere positivo, motivato proprio dal fatto che in quel caso specifico il servizio non era, secondo l’autorità, in grado di incidere in misura apprezzabile sulle condizioni concorrenziali del mercato interessato, in ragione del valore del servizio stesso e della sua dimensione in termini di popolazione interessata.

Il dl Ronchi ha riconosciuto, in modo forse imprevisto, al Governo la competenza in merito all’individuazione “del valore degli affidamenti” che saranno ritenuti ex se non incidenti sul mercato e, pertanto, tali da non richiedere il parere dell’autorità, deputata alla tutela della concorrenza.

Spetterà quindi al Governo con proprio regolamento, che dovrà essere emanato entro il 31 dicembre prossimo, individuare la soglia al di sotto della quale l’in house possa ritornare ad essere una modalità, sempre eccezionale, ma sostanzialmente “accessibile” per i comuni, potendo essere attuata senza la preventiva richiesta di parere all’antitrust.

Certo il dl Ronchi ha il merito di aver chiarito definitivamente che il parere dell’antitrust è “preventivo” rispetto all’acquisizione dell’efficacia della “scelta” gestionale operata dal comune.

Permangono comunque alcune perplessità per quanto riguarda la forma che deve assumere la manifestazione di volontà dell’Ente.

La scelta degli enti, in merito alle modalità di organizzazione dei servizi pubblici, può essere espressa esclusivamente con delibera del consiglio comunale.

La delibera deve essere approvata (divenendo, pertanto, perfetta ed efficace), ma l’esecuzione di tale decisione deve essere “sospesa”, in attesa del parere dell’antitrust.

E’ certo che tale parere è obbligatorio, in tal senso si è espresso di recente anche il tar toscana, nella sentenza n. 1430/09, che ha dichiarato l’illegittimità della delibera consiliare di affidamento diretto di un servizio alla partecipata comunale, non avendo l’ente richiesto il parere all’antitrust.

Sullo steso argomento vedi anche “Antitrust e Patto“, Il Sole 24 Ore del 23 novembre 2009

 

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