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In house: legittimo anche quando la partecipazione dell’Ente è minima se nello Statuto sono previsti strumenti di controllo concreto


Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza n. 5808/09
di Federica Caponi

 E’ legittima la scelta di un Comune di affidare direttamente alla Società, interamente pubblica, la gestione di un servizio pubblico, nonostante la minima partecipazione (quasi simbolica, pari allo 0,26% del capitale societario), in quanto nello Statuto sono stati previsti accorgimenti tesi a chiarire e precisare le modalità attuative di un effettivo controllo analogo.

Questo l’importante principio ribadito dal Consiglio di Stato nella Sentenza in commento, con la quale ha respinto il ricorso presentato da una Società avverso la Delibera comunale di adesione ad una Spa, interamente pubblica, e di affidamento a questa della gestione del servizio di igiene urbana.

Nel caso di specie, il Comune, a seguito della scadenza dell’appalto per la gestione del servizio, aveva bandito una nuova gara, andata deserta.

L’Ente aveva, conseguentemente, deliberato di aderire ad una Spa, partecipata da altri Enti Locali, acquisendo lo 0,26% del capitale sociale e di affidarle direttamente il servizio.

La Società, che aveva gestito il servizio in appalto fino alla scadenza, ha impugnato tale Delibera, sostenendo che la scelta dell’Ente, di passare dall’esternalizzazione all’internalizzazione della gestione del servizio, fosse immotivata e in contrasto con l’art. 113, comma 5, lett. c), Dlgs. n. 267/00, in quanto la partecipazione “simbolica” del Comune, al capitale della Spa, avrebbe impedito allo stesso di esercitare sull’in house il controllo analogo.

Il Tar, in primo grado, ha respinto il ricorso e la Società ha presentato appello al Consiglio di Stato.

I Giudici di Palazzo Spada hanno chiarito che il Comune ha adeguatamente motivato la scelta dell’affidamento in house, dimostrando che la società, totalmente pubblica, costituiva il modello più adeguato per la gestione del servizio.

Il Consiglio ha altresì precisato che non sussiste un obbligo giuridico per la stazione appaltante (ex art. 57 Dlgs. n. 163/06), una volta andata deserta una gara, di procedere all’affidamento del servizio tramite procedura negoziata (o trattativa privata).

L’Ente ha infatti il potere di valutare la sussistenza di altri strumenti, anche diversi dall’affidamento in appalto.

Per quanto riguarda il controllo analogo, i Giudici amministrativi, richiamando una recente Sentenza della Corte di Giustizia (13 novembre 2008, causa C – 324/07), hanno chiarito che, in caso di Società partecipate da più P.A., deve essere verificato se i singoli soci in concreto esercitino un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici, sia sulle decisioni più importanti, indipendentemente dalla detenzione del capitale del singolo Ente.

Il fatto che la P.A. detenga, da sola o insieme ad altre Enti, l’intero capitale della società concessionario, costituisce un ragionevole indice, benché non esaustivo, del fatto che la prima esercita sulla seconda un controllo analogo a quello esercitato dai propri servizi.

In tal caso, il controllo analogo deve essere esercitato congiuntamente dai soci anche attraverso delibere assunte a maggioranza.

Nel caso di specie, lo Statuto della partecipata prevedeva che le decisioni relative a specifiche modalità di esecuzione dei servizi sul territorio dei singoli Comuni soci potessero essere validamente assunte solamente dopo aver ottenuto il parere favorevole dell’Ente socio, territorialmente interessato.

Inoltre, ogni Ente era chiamato ad esprimersi sulle operazioni di maggior rilievo, per dimensioni e caratteristiche, effettuate dalla società e ad approvare lo stato di attuazione dei servizi svolti nel corso dell’esercizio.

Da queste disposizioni dello Statuto, secondo il Consiglio di Stato, non può dubitarsi che sussista il requisito del controllo analogo, a nulla rilevando l’esiguità della partecipazione del Comune al patrimonio della Spa.

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