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Incarichi professionali a personale interno: sono illegittimi e determinano responsabilità amministrativa


Corte dei conti, Sez. Giur. Marche, Sentenza n. 228/09
di Federica Caponi

Sussiste sia la colpa grave, sia la responsabilità amministrativa di amministratori e tecnici di un Comune per avere affidato un incarico professionale ad un proprio dipendente e disatteso un parere dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici sulle modalità di pagamento dei compensi ai tecnici, incaricati della progettazione e della direzione dei lavori pubblici.

Questi gli importanti principi sanciti dalla Corte dei conti, Sez. Giurisdizionale delle Marche, nella Sentenza in commento, con la quale ha condannato il Sindaco, alcuni Assessori, il Segretario e il Responsabile dell’Ufficio tecnico comunale al pagamento del danno erariale arrecato al Comune, avendo gli stessi affidato ad un Architetto, già responsabile dell’Ufficio Tecnico, una serie di incarichi professionali riguardanti la progettazione di opere pubbliche, retribuite sulla base delle tariffe professionali, anziché con gli assai meno gravosi incentivi previsti per il personale dipendente dell’Ente.

Nel caso di specie, il Comune era privo di personale di qualifica dirigenziale, per cui le funzioni apicali riguardanti la materia dei lavori pubblici erano state attribuite ad un Architetto, già in forza allo stesso ufficio con le mansioni di collaboratore e la qualifica di responsabile dell’istruttoria e del provvedimento finale.

Tali mansioni vennero espletate fino al 31 gennaio 2003, allorché la responsabilità dell’ufficio tecnico venne assunta dal Sindaco.

Dal 1 febbraio 2003, il dipendente Architetto è tornato a svolgere le diverse mansioni di collaboratore di supporto al responsabile dell’Ufficio tecnico e di responsabile dell’istruttoria delle pratiche riguardanti i lavori pubblici e la manutenzione del patrimonio.

Il rapporto di lavoro di tale Architetto con il Comune è stato disciplinato da incarichi, prorogati per ben 72 volte, fino al novembre 2007, aventi sempre lo stesso contenuto, indicando la scadenza, le mansioni proprie dell’ufficio tecnico, l’obbligo della presenza in ufficio per un determinato numero di ore e, infine, la retribuzione dovuta la quale, ancorché liquidata su presentazione di fattura, veniva corrisposta in misura forfettaria corrispondente all’ammontare previsto dalla contrattazione collettiva.

Tali contratti sono stati stipulati facendo riferimento sia all’art. 110 del Tuel, che all’art. 7, comma 6, del Dlgs. n. 165/01.

Per quanto riguarda l’art. 110 del Tuel, i Giudici contabili hanno precisato che tale norma attribuisce ai Comuni, in deroga alle normali regole che sovraintendono all’assunzione di personale, la possibilità di prevedere che, in talune circostanze e a determinate condizioni, l’Ente faccia ricorso a personale esterno per svolgere compiti di responsabile degli uffici o mansioni di alta specializzazione.

Le circostanze sono distinte a seconda che si tratti di sopperire a deficienze di organico ovvero, nei soli confronti dei Comuni in cui è prevista la dirigenza, di far fronte alla mancanza di personale dirigente o altamente specializzato al di fuori della dotazione organica.

La norma consente, infine, che per obiettivi determinati e di durata prestabilita il Regolamento interno possa prevedere “collaborazioni esterne” ad alto contenuto di professionalità (comma 6).

Alla stregua di tali disposizioni, secondo la Corte dei conti, il Comune ha conferito all’Architetto incarichi continuativi per sopperire alla carenza di organico dell’Ufficio Tecnico.

Conferimenti che, attuati mediante contratti a tempo determinato, hanno dato luogo ad altrettante “assunzioni a termine” e, quindi, ad una serie ininterrotta di rapporti di lavoro subordinato, quali sono quelli dei Responsabili dei servizi (art. 2095 C.C.).

Secondo la Corte dei conti, pertanto, tali incarichi non possono essere qualificati come rapporto di lavoro autonomo, la cui configurazione (per espressa previsione legislativa) è riservata alle sole collaborazioni esterne.

L’Architetto è stato quindi più volte “assunto” alle dipendenze del Comune con contratti a tempo determinato, ovvero con contratto a tempo determinato più volte prorogato.

Il Comune si era difeso in giudizio sostenendo erroneamente che “le prestazioni rese dall’Architetto devono essere assimilate a quelle di un lavoro formalmente autonomo ma sostanzialmente subordinato”.

Secondo i Giudici contabili, “contraddittorio è infatti affermare, da un lato, che il rapporto appare, nei fatti, come quello di una collaborazione coordinata e continuativa ex art. 2222 C.C. e, pertanto, riconducibile al lavoro autonomo e, dall’altro, che una tale qualificazione non è riscontrabile nel caso in esame, per cui si tratterebbe di lavoro subordinato”.

Inesatto è stato anche sostenere che le parti hanno “formalmente” stipulato un contratto di lavoro autonomo, laddove le formule utilizzate nelle Delibere e ancor più i loro contenuti (prestazioni, compensi e orari di lavoro) avessero invece dimostrato che si trattava di contratti di lavoro subordinato.

E’ da escludere, in via di principio, che i singoli contratti, dal momento che hanno avuto tutti sempre lo stesso contenuto, avessero potuto modificare la natura del rapporto, in quanto stipulati uno di seguito all’altro senza soluzione di continuità.

Infatti, essendo a termine, essi hanno mantenuto comunque la propria individualità.

Si è trattato pertanto di contratti di lavoro subordinato, stipulati sulla base dell’art. 110, comma 1, del Tuel.

Per quanto riguarda l’art. 7, comma 6, del Dlgs. n. 165/01, secondo i Giudici contabili non ha avuto alcun rilievo nel caso di specie, anche perché tale norma stabilisce che non è possibile far ricorso “a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati”.

I Giudici contabili hanno successivamente esaminato la questione relativa alla verifica della legittimità degli ulteriori 12 incarichi o, meglio, le 12 collaborazioni esterne affidate contemporaneamente all’Architetto, responsabile dell’ufficio tecnico, per incarichi di progettazione, ex Legge n. 109/94 (oggi Dlgs. n. 163/06).

Tale disposizione consente che le attività di progettazione possono essere assegnate anche a liberi professionisti, ma, in tal caso, è necessario che:

  • – vi sia carenza in organico di personale tecnico negli Enti;
  • – che i liberi professionisti non siano pubblici dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale, essendo loro impedito, in caso contrario, di espletare incarichi professionali per conto dell’Ente nel comprensorio di competenza dell’ufficio al quale appartengono.

La ratio sottesa alla norma, evidentemente intesa ad evitare che i professionisti impiegati a tempo parziale possano avvantaggiarsi da tale particolare condizione rispetto ad altri professionisti concorrenti, è sufficiente da sola a dimostrare che l’Architetto non avrebbe potuto ottenere gli incarichi di progettazione e di altre attività connesse in qualità di libero professionista, dal momento che egli era alla dipendenze del Comune a tempo parziale (25 ore a settimana).

Ne consegue che gli incarichi di progettazione sono stati conferiti all’Architetto ad altro titolo, e precisamente in qualità di responsabile o comunque di addetto all’Ufficio Tecnico comunale, iscritto all’albo dei liberi professionisti, secondo quanto previsto dal Codice dei contratti pubblici. Tale disposizione prevede infatti che “le prestazioni relative alla progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva nonché alla direzione dei lavori ed agli incarichi di supporto tecnico-amministrativo alle attività del responsabile unico del procedimento” sono (anzitutto) espletate “dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti”.

Avendo dunque l’Architetto prestato la propria attività, da un lato, di progettazione e, dall’altro, in qualità di dipendente (poiché ad altro titolo non gli sarebbe stata consentita), a lui sarebbe spettato il compenso incentivante previsto per i progettisti dipendenti del Comune.

I Giudici contabili hanno anche precisato che dal novero del “personale esterno”, cui potrebbero essere affidati gli incarichi di progettazione, sono esclusi i dipendenti dell’Ente conferente.

In conclusione, poiché l’unico status nel quale l’architetto avrebbe potuto legittimamente svolgere gli incarichi di progettazione era quello che lo considerava dipendente in servizio presso l’Ufficio Tecnico comunale, ne consegue che allo stesso andava corrisposto il trattamento incentivante previsto per tale sua condizione, e non il compenso percepito secondo le tariffe professionali.

La differenza tra quanto percepito e quanto avrebbe invece dovuto percepire l’Architetto rappresenta quindi l’entità del pregiudizio patrimoniale subito dal Comune.

La Corte dei conti ha però chiarito che, in parziale compensazione, si è realizzato un vantaggio a favore del Comune.

Ai fini della determinazione del danno, va considerato, oltre gli onorari pagati in eccesso rispetto al legittimo compenso, anche il rimborso delle spese sostenute e fatturate dal professionista, che il Comune ha risparmiato (utilitas) e che invece avrebbe dovuto affrontare se avesse fatto eseguire la progettazione e le altre incombenze al personale dell’ufficio tecnico con mezzi e strumenti operativi dei quali probabilmente si sarebbe dovuto dotare.

Gli indebiti pagamenti (dalla cui effettuazione sono maturate la materialità e l’attualità del danno) sono da imputare ai soggetti che hanno approvato le Delibere di Giunta con le quali sono stati conferiti i 12 incarichi di progettazione all’Architetto in qualità di libero professionista, e cioè al Sindaco e ad alcuni Assessori, oltre a coloro che a diverso titolo vi hanno concorso, ossia il Segretario comunale, e lo stesso Architetto, in qualità di Responsabile dell’Ufficio Tecnico comunale.

I Giudici hanno, infine, verificato se nei comportamenti di tali soggetti fosse possibile rinvenire quella colpa grave che costituisce la soglia per l’addebito delle conseguenti responsabilità amministrative.

La Corte ha evidenziato che alcuni dubbi sulla legittimità della procedura che era stata seguita dovevano essere certamente insorti dopo che l’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, compiute approfondite ispezioni, aveva più volte manifestato la sua opinione contraria, diffidando il Comune dall’insistere nelle Delibere adottate.

Invece, il Sindaco e gli Assessori, con l’adesione del Segretario e dell’Architetto, hanno preferito chiedere un Parere legale ad un professionista esterno e, ricevuta da lui assicurazione sulla correttezza delle scelte operate, hanno poi deciso di impugnare le Deliberazioni dell’Autorità, prima davanti al Tar, quindi, persa la causa in primo grado, davanti al Consiglio di Stato, che ha confermato il rigetto del gravame.

Secondo la Corte dei conti, è sufficiente considerare che “se l’Ente avesse seguito il Parere dell’Autorità (ancorché non vincolante) oppure vi fosse stata la decisione di sospendere i pagamenti al professionista prima di assumere l’iniziativa giudiziaria, il Comune non avrebbe patito il danno”.

L’immotivata perseveranza di tutti i soggetti in un atteggiamento che era stato decisamente censurato da un Organo tecnico, pur sempre autorevole ed ampiamente qualificato, e le cui opinioni sono state per di più ribadite in sede giudiziaria, rende l’atteggiamento medesimo sicuramente improntato a colpa grave.

Risultano pertanto integrati tutti gli elementi della responsabilità amministrativa per danno erariale da parte del Sindaco, degli Assessori, del Segretario e dell’Architetto dipendente dell’Ente.

Per quanto riguarda, in concreto, l’apporto causale e la componente psicologica propria della condotta di ciascuno, per la Corte dei conti rileva “la doppia partecipazione causale dell’Architetto, il quale, come funzionario del Comune ha favorito l’adozione di provvedimenti che lo riguardavano personalmente, e come professionista incaricato di pubbliche funzioni ha tratto un notevole, quanto ingiusto, vantaggio patrimoniale dai provvedimenti stessi”.

Alla luce delle considerazioni sopra evidenziate, la Corte ha condanno l’Architetto del Comune al pagamento di € 38.000, il Sindaco di € 16.000, il Segretario a € 5.000 e gli Assessori a € 3.500 e € 2.000.

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