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Personale: tutte le mansioni relative alla categoria di appartenenza sono esigibili


Corte di Cassazione, Sent. n. 12252/09
di Chiara Zaccagnini

Negli Enti Locali tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili e l’assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere del datore di lavoro.


Questo è quanto ha affermato la Corte di Cassazione, nella Sentenza in commento, con la quale ha accolto il ricorso presentato da un dipendente avverso l’atto di revoca della Responsabilità di Unità Organizzativa.
Un dipendente aveva presentato ricorso al Giudice del Lavoro contro il Comune affinché venisse dichiarato illegittimo il provvedimento che revocava l’assegnazione allo stesso della Responsabilità di un’unità operativa.
La revoca di tale incarico era stata decisa dal Dirigente di Settore, a seguito della segnalazione da parte del dipendente, di inefficienze e di carenze della struttura.
Il Comune si opponeva al ricorso e il Giudice del Lavoro, in primo grado, aveva rigettato il ricorso presentato dal dipendente.
Il Tribunale, in secondo grado, ha riformato la Sentenza di primo grado e ha ordinato al Comune la reintegra del dipendente nelle funzioni di Responsabile di U.O.
Il Comune ha appellato la Sentenza di fronte alla Corte di Cassazione, sostenendo:
– la violazione dell’art. 52 del Dlgs. n. 165/01, il quale sancisce il diritto all’assegnazione alle mansioni per le quali il dipendente è stato assunto o altre equivalenti, dell’art. 56 dello stesso Decreto e dell’art. 3, comma 2, del Ccnl 31.3.1999, che individuano come unico parametro, per la verifica dell’equivalenza delle mansioni, le previsioni della contrattazione collettiva, secondo cui tutte le mansioni, che fanno parte della categoria di appartenenza, sono esigibili e l’assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere dirigenziale, determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro;
– che l’atto di revoca era motivato “in fatto”, in quanto la responsabilità affidata al dipendente era relativa a procedimenti ormai in esaurimento (atti di un condono quasi del tutto concluso).
la Corte di Cassazione ha preliminarmente chiarito che al rapporto del lavoro pubblico si applica l’art. 2103 c.c., destinato a regolare la parte non disciplinata dalle disposizioni speciali in materia di pubblico impiego.
In base all’art. 2103 c.c. “il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.
Nel caso di assegnazione a mansioni superiori, il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi.
Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.”
In questo modo viene limitato lo ius variandi del datore di lavoro, stabilendo sia la garanzia del livello retributivo raggiunto, sia l’equivalenza delle mansioni raggiunte successivamente.
L’art. 52 del Dlgs. n. 165/01 sancisce il diritto all’adibizione alle mansioni per le quali il dipendente è assunto, o ad altre equivalenti.
In merito al concetto di equivalenza, nell’ambito del lavoro privato è il Giudice, in concreto, che valuta se determinate mansioni possono essere considerate equivalenti, in base alle competenze professionali necessarie per svolgerle, mentre nel pubblico impiego l’art. 52 del Dlgs. n. 165/01 fa riferimento ad un’equivalenza formale, cioè ad una valutazione rimessa ai contratti collettivi e non sindacabili da parte del Giudice.
Quindi, per i dipendenti pubblici, condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere ritenute equivalenti è la loro previsione, in tal senso, da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita.
L’equivalenza in senso formale sembra riaffermata anche dall’art. 3 del Ccnl 31.3.1991, che prevede che “ai sensi dell’art. 56 del Dlgs. n. 29/93, come modificato dal Dlgs. n. 80/98, tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti sono esigibili. L’assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro”.
Questa previsione però non può essere ampliata fino a consentire lo svuotamento, pressoché totale, dell’attività lavorativa.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che, nel caso di specie, l’atto di revoca abbia sostanzialmente “svuotato” i compiti affidati al dipendenti, ritenendo i restanti puramente formali.
Tale fattispecie configurando di conseguenza una sottrazione pressoché integrale di ogni funzione da adempiere, è vietata anche nell’ambito del pubblico impiego.
I Giudici di legittimità hanno, pertanto, ritenuto la revoca illegittima e disposto la reintegra del dipendente come Responsabile di Unità Organizzativa complessa.

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