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Reintegro del dipendente: se la revoca è avvenuta per riorganizzazione degli uffici non c’è danno erariale


Corte dei Conti, Sez. I Giur. Centr. d’Appello, Sentenza n. 536 /08
di Federica Caponi

Revoca del responsabile – reintegrazione disposta dal Giudice del Lavoro – danno erariale a carico degli amministratori che avevano deliberato la revoca dell’incarico – non sussiste


Nel caso in cui il Giudice del lavoro, accogliendo il ricorso presentato da un dipendente avverso l’atto di revoca dell’incarico di responsabile di area, disponga il reintegro dello stesso nelle proprie mansioni, non sussiste danno erariale se la revoca è conseguenza di una riorganizzazione della struttura amministrativa.

Se la revoca di un incarico di responsabile di area è disposta a seguito di una riorganizzazione e razionalizzazione della dotazione organica, l’eventuale pronuncia del Giudice del Lavoro di reintegrazione del dipendente rimosso, non determina danno erariale a carico dell’Amministrazione che aveva deciso la soppressione di alcuni uffici.
La logica, infatti, in cui si muove il Giudice del lavoro, finalizzata all’esclusiva tutela delle situazioni soggettive dei lavoratori, non può essere assunta automaticamente a fondamento del danno erariale, che presuppone che il danneggiante abbia scientemente (con dolo o colpa grave) operato in danno dell’Amministrazione.
E’ questo l’importante principio sancito dalla Corte dei Conti d’Appello, nella Sentenza n. 536 del 4 dicembre 2008, con la quale ha accolto il ricorso presentato da alcuni amministratori che avevano deliberato la riorganizzazione della dotazione organica e soppresso alcuni uffici, revocando di conseguenza l’incarico di responsabile ad un dipendente.
La pronuncia dei Giudici contabili ha così riportato l’attenzione in una materia molto delicata e controversa, quale quella del coordinamento tra le pronunce del Giudice del Lavoro, che tutelando il dipendente, possono incidere sull’assetto organizzativo della P.A., e le scelte discrezionali della stessa Amministrazione in merito alla propria dotazione organica.
Nel caso di specie, la Giunta comunale aveva modificato la dotazione organica del Comune, sopprimendo alcuni uffici e il Sindaco aveva revocato ad un dipendente l’incarico di responsabile di un’Area non più esistente.
Il dipendente aveva presentato ricorso al Giudice del Lavoro, contestando la condotta del Sindaco, chiedendo che l’Ente fosse condannato a reintegrarlo nelle originarie mansioni e a corrispondergli il risarcimento dei danni biologico, morale, professionale e da mancato guadagno per l’indennità di posizione non corrisposta.
Il Tribunale adito aveva dichiarato l’illegittimità del provvedimento di revoca dell’incarico ed accertato il diritto del dipendente ad essere reintegrato nelle funzioni di Responsabile di Area.
La Corte dei Conti, in primo grado, aveva ravvisato l’esistenza di profili di responsabilità a carico dell’intera Giunta, per il danno indiretto cagionato all’Ente Locale dal pagamento del risarcimento a favore del dipendente e aveva condannato gli Amministratori a rifondere l’Erario.
I Giudici contabili, in prima istanza, avevano infatti ritenuto, sulla scorta delle argomentazioni del Giudice del Lavoro, che il comportamento degli Amministratori fosse stato caratterizzato da dolo diretto, ritenendo sussistente la volontà di causare un ingiusto pregiudizio al dipendente.
Avverso tale pronuncia, gli Amministratori hanno presentato ricorso, sostenendo che la revoca è stata la conseguenza di insindacabili scelte discrezionali in materia di riorganizzazione degli uffici, finalizzata ad una migliore funzionalità ed economicità e, come tale, la decisione di rimuovere l’incaricato è priva dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, poiché essi hanno agito nell’interesse funzionale ed economico dell’Ente locale e degli amministrati.
La questione di fondo
La problematica affrontata dai Giudici contabili è stata quella di verificare se, nonostante la pronuncia del Giudice del Lavoro che ha imposto la reintegrazione del dipendente rimosso, la scelta organizzativa attuata dagli Amministratori sia stata o meno rispettosa dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa.
Nell’ambito degli atti posti in essere dalla P.A., infatti, sussistono atti che sono definiti di “macro-organizzazione” [ex art. 2 del Dlgs. n. 165/01 secondo cui “le Amministrazioni pubbliche definiscono (…) mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, individuano gli uffici di maggiore rilevanza ed i modi di conferimento della titolarità dei medesimi, determinano le dotazioni organiche complessive”], ed altri atti che la stessa pone in essere con la capacità del privato datore di lavoro.
Il Legislatore ha attribuito natura contrattuale privatistica ai poteri datoriali di gestione del rapporto di lavoro e ha mantenuto, al contrario, una cornice pubblicistica per quanto riguarda le scelte organizzative che discrezionalmente ogni Ente può intraprendere.
Esistono fonti regolative diverse per il livello macro organizzativo, retto dai principi e dalle regole del diritto amministrativo, e per quello della micro organizzazione, attratto nell’ambito della gestione privatistica.
Gli atti di macro-organizzazione sono retti da norme poste nell’interesse generale e, pertanto, la giurisdizione appartiene al Giudice amministrativo, poichè la P.A., nell’espletamento di propri poteri di organizzazione delle funzioni affidate dalla legge nell’interesse generale, assume una posizione autoritativa rispetto ai destinatari degli atti amministrativi, esercitando, in applicazione di apposite norme, la propria discrezionalità.
Discrezionalità che, nell’ambito dei poteri di organizzazione conferiti dalle norme di legge, ha indotto l’Amministrazione nel caso di specie alla riorganizzazione.
E’ vero però che anche le determinazioni del pubblico datore di lavoro, comunque, devono essere rispettose dei principi di buon andamento, imparzialità, legalità, trasparenza e obbligo di motivazione, in quanto questi costituiscono sempre parametri di riferimento della condotta dell’Amministrazione e consentono di trovare un equilibrio tra esigenze di autorganizzazione di quest’ultima e necessità di garantire la posizione giuridica soggettiva del dipendente dal passaggio arbitrario da un incarico all’altro.
I provvedimenti di “micro-organizzazione infatti non possono essere arbitrari, ma devono necessariamente essere motivati in modo chiaro e adeguato (Trib. Bari, Sez. Lavoro, Sent. 8 gennaio 2004).
La motivazione dei provvedimenti è fondamentale al fine di comprendere la logica che ha determinato la volontà della P.A. e per consentire al giudice di valutare l’osservanza e la legittimità di quanto deciso.
La Corte del Conti aveva già avuto modo di chiarire che “è ammessa una revoca anticipata degli incarichi conferiti per il sopravvenire di oggettive ragioni organizzative, a condizione peraltro che, essendo il conferimento di funzioni espressione di una potestà amministrativa da esercitare nell’ambito di regole predeterminate, l’Amministrazione dia preventivamente atto ed esterni adeguatamente i presupposti e le ragioni del provvedimento”.
In tale contesto non è legittimo un atto di revoca di un incarico “privo di motivazione adeguata che faccia riferimento ad oggettive e verificabili esigenze di carattere funzionale, non essendo sufficiente il generico richiamo ad un principio di rotazione degli incarichi” (Corte dei Conti, Sent. n. 63/00).
Anche nella Giurisprudenza amministrativa si è consolidato l’indirizzo secondo cui i principi costituzionali di buon andamento e di imparzialità “costituiscono valori essenziali di riferimento di ogni comportamento della P.A.”, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica del quadro formale in cui il comportamento deve essere svolto, e quindi “riguardano allo stesso modo l’attività volta all’emanazione di provvedimenti e quella con cui sorgono o sono gestiti i rapporti giuridici disciplinati dal diritto privato”, in quanto “ogni attività dell’Amministrazione senza alcuna eccezione deve essere finalizzata al perseguimento dell’interesse collettivo” (Cons. di Stato, Sent. n. 2938/03).
Pertanto, i principi di buona amministrazione e d’imparzialità (art. 97 Cost.) vincolano ogni attività della P.A. e sovrintendono anche l’azione degli Enti nelle attività gestionali aventi natura privatistica, e ciò in considerazione dell’interazione che l’attività privata ha, nella stragrande maggioranza dei casi, con l’agere pubblico e con gli interessi della collettività.
La P.A., infatti, anche quando agisce con i poteri del privato datore di lavoro, è tenuta a rispettare i canoni costituzionali ed i principi generali dell’ordinamento.
Per quanto riguarda gli incarichi di responsabili apicali, la giurisprudenza di merito ha chiarito che “non esiste un diritto al posto, inteso come preposizione ad un ufficio, ed alle corrispondenti mansioni, ben potendo il dipendente svolgere solo funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca, o più semplicemente stazionare nel ruolo unico in attesa dell’affidamento di un incarico” (Trib. Milano, Sez. Lavoro, Sent. 5 maggio 2000).
Tali incarichi infatti sono ispirati ai principi della temporaneità e della rotazione, che rappresentano la chiave di volta della riforma dei vertici burocratici dell’Amministrazione, che punta proprio alla valorizzazione di un corpo apicale flessibile e professionale.
Pertanto, ogni qual volta la P.A. approva atti organizzativi e in conseguenza di questi incide unilaterale nel rapporto di lavoro, revocando un incarico ad un dipendente in virtù di ragioni organizzative e produttive, deve essere verificato se tale scelta sia stata posta in essere secondo i criteri di buon andamento, imparzialità e obbligo di motivazione.
La Corte dei Conti d’Appello, nella Sentenza in commento, ha chiarito che l’Amministrazione comunale ha provveduto a riorganizzare l’Amministrazione comunale secondo criteri di funzionalità ed economicità, eliminando doppioni con l’accorpamento di unità operative similari e riducendo i costi di gestione, sopprimendo strutture di coordinamento.
I Giudici contabili hanno quindi precisato che la scelta compiuta dagli Amministratori non può essere qualificata come mera revoca di incarico dirigenziale, nella invarianza dell’organizzazione amministrativa.
La riorganizzazione infatti ha determinato la soppressione di strutture di coordinamento ritenute inutili in relazione al programma di governo locale approvato dalla Giunta.
La Corte dei Conti ha quindi ritenuto fondata l’eccezione di insindacabilità della scelta organizzativa attuata sostenuta dai ricorrenti amministratori e ha accolto il ricorso.
Conclusioni
La Corte dei Conti d’Appello ha accolto il ricorso presentato dagli Amministratori, in quanto ha ritenuto che la scelta di riorganizzare la struttura dell’Ente, sopprimendo alcuni uffici, impedendo la parcellizzazione dell’attività fra più strutture operative, rendendo l’erogazione dei servizi comunali più efficiente ed efficace con l’eliminazione dei costi superflui, sia stata compiuta esclusivamente nell’interesse pubblico generale e nel rispetto dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità.
La logica in cui si muove il Giudice del lavoro, finalizzata alla esclusiva tutela delle situazioni soggettive dei lavoratori, non può essere assunta automaticamente a fondamento del danno erariale, che presuppone che il danneggiante abbia agito con dolo o colpa grave causando danno all’Amministrazione.
Nel caso di specie, infatti, considerata legittima la scelta di soppressione di alcuni uffici, secondo la Corte dei Conti, gli Amministratori hanno potuto correttamente revocare degli incarichi.
I Giudici contabili hanno chiarito che la conservazione “delle indennità accessorie” del dipendente non può condizionare l’ottimale organizzazione amministrativa.
Anzi, al contrario, secondo la Corte dei Conti, è da chiedersi se la riammissione forzata dell’impiegato nella posizione precedente, impedendo la riorganizzazione degli uffici, non abbia generato, oltre che inefficienza, anche costi superflui.

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