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Accesso civico generalizzato: possibile accedere ai fogli delle presenze in servizio dei dipendenti


Deve essere consentito l’accesso civico generalizzato ai dati ed ai fogli di presenza concernenti la presenza/assenza sul luogo di lavoro del personale dipendente.

Questo il principio espresso dal Tar Napoli con la sentenza n. 5901 del 13 dicembre 2017.

Nel caso di specie un cittadino aveva presentato una richiesta di accesso nei confronti di una società in controllo pubblico ai fini del rilascio dei dati e dei fogli di presenza e/o a corrispondenti strumenti, anche informatici, di rilevazione delle presenze sul luogo di lavoro, relativi a un determinato arco temporale, di un dipendente.

La società, per mezzo del Responsabile della trasparenza, aveva negato l’accesso trattandosi di dati sensibili e personali di un soggetto determinato che, peraltro, si era opposto all’ostensione dei dati per ragioni di riservatezza.

I giudici amministrativi hanno accolto il ricorso proposto dal cittadino evidenziando tre “difetti di gestione” dell’istanza.

In primo luogo la richiesta di accesso generalizzato non può essere evasa direttamente, in prima istanza, dal Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT), organo che, a norma di legge, deve essere destinatario della eventuale richiesta di riesame.

Infatti, per l’accesso civico generalizzato (contrariamente a quanto previsto nella disciplina sull’accesso ai documenti), il legislatore ha previsto una speciale procedura di tutela amministrativa interna, al fine di consentire al cittadino di avere una risposta chiara e motivata e per offrire allo stesso una opportunità di tutela più rapida e poco dispendiosa.

In particolare, nei casi di diniego totale o parziale dell’accesso o di mancata risposta da parte dell’ufficio competente (ufficio che detiene i dati o i documenti richiesti), il cittadino “può presentare richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza” (articolo 5, comma 7, del d.lgs. 33/2013).

La norma prevede, inoltre, che in sede di riesame il Responsabile, se l’accesso è stato negato o differito per tutelare dati personali “provvede sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta”.

Di conseguenza, fare rispondere in prima istanza il RPCT, priva il cittadino del diritto di richiedere il riesame “interno”, nonché (eventualmente e nel caso in cui il diniego si fosse basato su esigenze di protezione dei dati personali) di conseguire il parere del Garante della Privacy, così costringendolo ad esercitare l’opposizione davanti al Tribunale Amministrativo Regionale.

In secondo luogo l’accesso non può essere negato sulla scorta della mera opposizione espressa dal controinteressato, in quanto la normativa, lungi dal rendere i controinteressati arbitri assoluti delle richieste che li riguardino, rimette sempre all’amministrazione destinataria della richiesta di accesso il potere di valutare la fondatezza della richiesta stessa, anche in contrasto con l’opposizione eventualmente manifestata dai controinteressati (Tar Napoli, sentenza n. 1380/2017).

Ciò perché il diritto a conoscere dei cittadini deve essere assicurato dall’Amministrazione e non può essere lasciato alla decisione del controinteressato il quale, nell’ambito della partecipazione procedimentale allo stesso riservata, può far emergere esigenze di tutela che ben possono orientare e rendere edotta l’autorità decidente sulle ragioni della invocata riservatezza nell’assumere la determinazione, che spetta comunque solo alla p.a.

Infine, come esplicitato nelle linee guida ANAC in materia di accesso civico (deliberazione n. 1309/2016, recante indicazioni operative e le esclusioni e i limiti all’accesso civico generalizzato) e nella circolare n. 2/2017 del Dipartimento della funzione pubblica, la presenza di dati o documenti relativi a (o contenenti) dati personali, non costituisce un limite assoluto all’accesso.

In tal caso l’amministrazione (alla quale deve essere assimilata una società in controllo pubblico) è tenuta a valutare se l’ostensione degli atti possa determinare un pregiudizio concreto e probabile alla tutela della protezione dei dati personali.

Nel caso di specie, considerando gli interessi in gioco e cioè il diritto a conoscere se un dipendente di una società in controllo pubblico e costituita con soldi pubblici, sia semplicemente presente al lavoro in un determinato periodo e il diritto del controinteressato a che non sia rivelata la presenza perché afferente a un dato personale, i giudici amministrativi hanno ritenuto prevalente il diritto a conoscere.

Come evidenziato dai giudici amministrativi, inoltre, la diffusione all’esterno delle presenze quotidiane in servizio del dipendente non può ledere le libertà fondamentali dell’interessato, la sua dignità, la riservatezza, l’immagine e la reputazione o ancora esporlo a pericoli.

Di conseguenza è stata ordinato alla Società di dare ostensione alla documentazione richiesta, con omissione di ogni dato idoneo a disvelare le ragioni delle assenze (quali per esempio l’astensione dal lavoro per malattia, aspettativa, ferie).


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