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Danno all’immagine da reato “comune”. Le condanne per gli scontri al G-8 di Genova portano nuovamente la questione alla Corte Costituzionale.


La violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. che impone parità di trattamento di situazioni analoghe, per garantire i valori di giustizia e di equità, risulterebbe violato nel momento in cui la tutela dell’immagine dell’amministrazione non viene accordata o negata a seconda della sussistenza o meno del danno, ma sulla base del fatto generatore dello stesso, la cui individuazione risulta di fatto affidata all’arbitrium merum del legislatore. Se la finalità perseguita è quella di “consentire un esercizio dell’attività di amministrazione della cosa pubblica, oltre che più efficace ed efficiente, 11 più possibile scevro da appesantimenti” (sentenza n. 355 del 2010) al fine di valutare la ragionevolezza dell’intervento, non può non tenersi conto del fatto che il legislatore, allo scopo di limitare la responsabilità dei pubblici dipendenti, è già più volte intervenuto, con provvedimenti normativi riconosciuti legittimi dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 371 del 1998; sentenza n. 453del 1998), finalizzati a restringere la sfera di detta responsabilità, (legge 14 gennaio 1994 n. 20; D.L. 23 ottobre 1996 n. 543), limitando il risarcimento alle sole condotte dannose connotate da dolo o colpa grave e la trasmissibilità del debito agli eredi solo nel caso di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente illecito arricchimento degli eredi stessi, prevedendo l’insindacabilità delle scelte discrezionali e l’obbligo di tenere conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione o dalla comunità amministrata, fissando la regola generale della parziarietà dell’obbligazione di risarcimento, limitando al quinquennio il termine prescrizionale (art. 1 commi 1 – 4 della L. 14 gennaio 1994 n. 20) e sancendo l’obbligo di rimborsare in ogni caso al dipendente prosciolto nel processo per danno erariale le spese legali sostenute(art.3, c. 2 bis del D.L. n. 543/1996, art. 18, c.1 del D.L. n. 67/1997 e art. 10 bis, c.10 del D.L. n. 203/2005).

Risultando, quindi, la finalità perseguita dal legislatore già abbondantemente soddisfatta da strumenti più consoni e sicuramente più efficaci, quali quelli appena indicati, la scelta di restringere ulteriormente i confini della responsabilità per i danni causati alla P.A. e restringendo, quindi, di converso, i confini della tutela del diritto dell’amministrazione all’onore e alla reputazione, appare misura eccessiva ed esuberante rispetto allo scopo e, pertanto, secondo il parametro costituzionale dell’art.3, intrinsecamente irrazionale. In effetti, tale effetto limitativo emergerebbe in forma ancor più manifesta nel caso in esame in cui agenti della Polizia di Stato, con sentenza passata in giudicato, sono stati condannati per aver arrestato illegalmente persone innocenti, con evidentissimo discredito dell’immagine del Corpo di polizia, cui si associa nella pubblica opinione, informata dei fatti per il loro incontroverso rilievo internazionale, un’inevitabile lesione reputazionale in conseguenza dell’agire dei  propri rappresentanti.


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