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Giur. Sicilia, sent. n. 670 – La responsabilità per danno all’immagine


La condotta antigiuridica del dipendente pubblico, consistente nella reiterata e sistematica percezione di denaro o altre utilità per compiere atti contrari ai doveri del proprio ufficio, è suscettibile di produrre una lesione al decoro e al prestigio dell’amministrazione.

Ciò in virtù del rapporto di immedesimazione organica che conduce sempre ad identificare l’amministrazione con il soggetto, autore degli illeciti, che per essa ha agito.

In conseguenza di tale immedesimazione, dunque, va riconosciuto il danno all’immagine dell’ente riconducibile alla “grave perdita di prestigio ed al grave detrimento dell’immagine e della personalità pubblica” nei confronti della collettività, sfiduciata sul corretto funzionamento dell’amministrazione.

Questo il principio affermato dalla Corte dei Conti, sez. giur. Sicilia, nella sentenza n. 670 depositata il 9 luglio 2015.

Nel caso di specie, a seguito di patteggiamento, un dirigente era stato condannato con sentenza civile per fatti di corruzione propria avvinti dal vincolo della continuazione, avendo lo stesso disposto arbitrariamente l’affidamento di appalti pubblici di servizi pubblicitari, così favorendo alcune imprese in cambio di una serie di utilità.

A tal proposito, i giudici contabili hanno evidenziato che la “sentenza irrevocabile di condanna” per uno dei “delitti di cui al Capo I del Titolo II del Libro Secondo del codice penale”, fra cui rientra la corruzione propria (articolo 319 c.p.), è condizione per l’esercizio, da parte delle procure della Corte di conti, dell’azione “per il risarcimento del danno all’immagine”.

Tuttavia, non sempre dal definitivo accertamento della responsabilità penale può ritenersi conseguente una lesione risarcibile all’immagine della pubblica amministrazione, essendo a tal fine necessario che vi sia una lesione (perdita di prestigio) che costituisce conseguenza del fatto lesivo.

Lesione dell’immagine che si concretizza ogniqualvolta un soggetto legato da un rapporto di servizio con la p.a. ponga in essere un comportamento criminoso e sfrutti la posizione ricoperta per il soddisfacimento di scopi personali utilitaristici e non per il raggiungimento di interessi pubblici generali, realizzando attività illecite di cui la collettività vanga a conoscenza, minando in tal modo la fiducia dei cittadini nella correttezza dell’attività amministrativa.

Ciò in quanto la condotta antigiuridica del dipendente, in virtù del principio di immedesimazione organica, che porta normalmente a identificare l’amministrazione con il soggetto che per essa ha agito, concorre alla proiezione dell’immagine di un pubblico potere sistematicamente inquinato e quindi a percepire la stessa amministrazione, nella sua generalità, corrotta.

Leggi la sentenza
CC Sez. Giurisd. Sicilia, sent. n. 670_2015

 

 


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