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Servizio farmacia: le società fuori dall’obbligo di dismissione?


Le società dei comuni con meno di 50.000 abitanti che gestiscono il servizio di farmacia comunale sono fuori dai vincoli contenuti nell’articolo 14, comma 32 del d.l. 78/2010, cioè dagli obblighi di dismissione o di messa in liquidazione.

Questo è quanto ha affermato la Corte dei Conti sezione controllo delle Marche nella deliberazione 57 del 7 agosto 2013.

I magistrati contabili hanno risposto alla richiesta di chiarimenti di un sindaco circa la corretta interpretazione della normativa sulle partecipazioni societarie degli enti locali per la gestione delle farmacie comunali e in particolare sul vincolo quantitativo disciplinato dall’articolo 14, comma 32 del d.l. 78/2010.

La Corte dei Conti ha sostenuto che “l’esercizio in forma di società di una farmacia da parte di un Comune (anche se inferiore a 30.000 abitanti) non ricade nell’obbligo di dismissione delle partecipazioni societarie previsto dall’art. 14, comma 32, del d.l. 78/2010”.

Secondo i magistrati contabili delle Marche, i vincoli quantitativi posti dal citato articolo 14 non troverebbero applicazione nei confronti delle società che gestiscono servizi pubblici a rilevanza economica “esclusi” dall’applicazione delle disposizioni vigenti in materia di servizi pubblici (non solo farmacia, ma anche gas, rifiuti, etc.), ai così detti settori “esclusi”.

Il tipo di “isolamento” normativo che si è voluto attribuire alla gestione di tali peculiari servizi pubblici determinerebbe l’assoggettamento degli stessi solo alle norme spciali che ne discipina le modalità di gestione.

E’ necessario evidenziare che tale posizione interpretativa della Corte dei Conti delle Marche appare non condivisibile, in quanto non ha alcun fondamento legislativo.

Il legislatore infatti ha imposto due diverse tipologie di vincoli alla facoltà degli enti locali di utilizzare lo strumento societario, uno qualitativo e uno quantitativo:

1. l’articolo 3, commi 27-32 della legge 244/2007, che impone agli enti di poter costituire o mantenere solo società che producono servizi di interesse generale o attività di produzione di beni e di servizi strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali;

2. l’articolo 14, comma 32, del d.l. 78/2010, riferito alle dimensioni degli enti soci, che concorre con il precedente a definire i casi nei quali gli ei locali possono ricorrere allo strumento societario per perseguire le loro finalità. Tali limiti quantitativi operano in relazione alle sole partecipazioni ammissibili ai sensi del citato articolo 3 della legge 244/2007.

Cosa ben diversa sono le norme che disciplinano le modalità di gestione dei singoli servizi, come quella contenuta nel d.l. 179/2012 che ha confermato che la gestione del servizio di farmacia, così come quella del gas e degli altri servizi “esclusi”, sono disciplinati da specifiche norme, speciali rispetto alla norma generale che disciplina le modalità di gestione di servizi pubblici a riulevanza economica.

Ritenere che la legge 475/1968 (la così detta “Legge Mariotti”), che disciplina le modalità di gestione del servizio di farmacia comunale, consentirebbe ai comuni di utilizzare lo strumento societario in deroga a quanto previsto dall’articolo 14 comma 32 è un errore di interpretazione giuridica non banale.

Una cosa è la facoltà dei comuni di poter gestire il servizio farmacia secondo quanto disciplinato dalla legge speciale per quella materia, in deroga, questo si, alle norme generali che disciplinano la gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica, altra cosa è ritenere che una norma che disciplina le modalità di gestione di una determinata attività possa ritenersi prevalente rispetto alla norma che regolamenta espressamente la facoltà degli enti locali di costituire società di capitali. Le materie, gli ambiti di intervento, sono palesemente diverse.

Infine, giova ricordare che se anche si ritenesse valida l’interpretazione sostenuta dalla Corte dei Conti delle Marche, i comuni potrebbero “mettere in salvo” solo le società costituite ai sensi dell’articolo 9 della legge 475/1968, che disciplina le modalità di gestione comunale, e cioè “società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità”.

La citata legge 475/1968 infatti consentirebbe ai comuni di gestire la farmacia soltanto con tali tipologie di società di capitali, oppure in economia, a mezzo di azienda speciale o a mezzo di consorzi tra enti.

Non potrebbero quindi comunque dirsi “in salvo” rispetto ai vincoli dell’articolo 14, comma 32 le società in house costituite dai comuni per la gestione della farmacia.

 


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