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Servizio farmacia: non può essere affidato in concessione a terzi


Corte dei Conti, sez. contr. Lombardia, Deliberazione n. 657 del 12 dicembre 2011
di Federica Caponi

La normativa settoriale applicabile al servizio farmaceutico comunale non consente una scissione fra la titolarità del servizio e il suo concreto esercizio, mediante lo strumento tipico della concessione a terzi, sia pur individuati con gara ad evidenza pubblica.

Il Comune deve, infatti, mantenere il controllo e la gestione diretta di una propria funzione istituzionale, in coerenza con la finalità di servizio pubblico essenziale insita nel servizio farmaceutico.

Questo il principio sancito dalla Corte dei Conti, sez. controllo della Lombardia, nella Deliberazione in commento, con la quale ha risposto a un quesito posto da un Comune in merito alla possibilità per lo stesso, avendo una popolazione inferiore ai 30.000 abitanti, di costituire una società per gestire il servizio di farmacia, dopo che la Regione aveva disposto l’apertura della seconda sede farmaceutica nel proprio territorio.

La Corte ha chiarito che la possibilità di ricorrere allo strumento societario è per legge correlato ai fini dell’Ente pubblico e deve essere circoscritto al soddisfacimento di effettive esigenze istituzionali dello stesso.

L’effetto ultimo dei ripetuti interventi normativi in materia è quello di tutelare gli equilibri della pubblica finanza, contenendo i costi delle società costituite o partecipate da alcuni enti pubblici, tra cui i Comuni.

In particolare, l’art. 14, comma 32, del Dl. n. 78/10 ha stabilito che i Comuni inferiori ai 30.000 abitanti non possono costituire società e devono dismettere le partecipazioni già in essere, salvo determinate eccezioni previste.

Nel caso di specie, il Comune aveva approvato la costituzione di una società a responsabilità limitata nel 2009, ma la stessa non è ancora stata formalmente costituita, né iscritta nel registro delle imprese.

I magistrati contabili hanno chiarito che, alla luce dei parametri e delle condizioni normative imposte dal citato comma 32, la costituzione di una società a responsabilità limitata allo scopo di rendere il servizio farmaceutico, da parte di un comune avente popolazione inferiore a 30.000 abitanti, non risulta conforme al dettato legislativo.

Per quanto riguarda la questione relativa a se sia possibile optare per la concessione a terzi, previa gara ad evidenza pubblica, mantenendo in capo al Comune la titolarità del servizio di farmacia, la Corte ha precisato che al di fuori dello schema societario, la Legge n. 475/68 prevede che le farmacie, di cui sono titolari i Comuni o quelle acquisite in seguito all’esercizio del diritto di prelazione possono essere gestite in una delle seguenti forme:

–        in economia;

–        a mezzo azienda speciale;

–        a mezzo consorzi tra comuni per la conduzione di farmacie di cui sono titolari;

–        a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui l’ente abbia la titolarità. All’atto della costituzione della società cessa di diritto il rapporto di lavoro dipendente tra l’amministrazione comunale e i predetti professionisti.

L’art. 14 comma 32 del Dl. n. 78/10 impedisce la percorribilità della società mista, poiché il divieto di costituire nuove società non distingue fra società totalitaria e società mista, ma è riferito alle partecipazioni pubbliche locali tout court.

Peraltro, i modelli di gestione del servizio di farmacia comunale previsti dall’art. 9 della citata Legge n. 475/68, non hanno carattere tassativo.

Sulla percorribilità di erogare il servizio farmaceutico mediante la costituzione di un organismo comunale non societario, il Comune ha rilevato l’impossibilità di una gestione diretta alla luce dei vincoli finanziari correlati al rispetto dei tetti di spesa di personale e alla mancanza nell’organico comunale della figura del farmacista.

Sia la gestione diretta, che la gestione tramite organismo partecipato non societario, pertanto, comporterebbe a carico del Comune la necessità di assumere personale, il cui onere finanziario ricadrebbe nel perimetro delle spese di personale dell’Ente e nei limiti assunzionali.

Al fine di superare tali ostacoli, il Comune aveva indicato la possibilità di affidare il servizio in concessione a terzi, previa gara ad evidenza pubblica.

La Corte ha chiarito che l’attività di gestione delle farmacie comunali è un servizio pubblico essenziale, a carattere locale e a tendenziale rilevanza economica.

Ferma, comunque, la discrezionalità rimessa all’Ente di compiere in concreto la scelta più opportuna con cui perseguire la cura concreta dell’interesse pubblico, la Corte ha però rilevato che la normativa settoriale applicabile al servizio farmaceutico comunale non consente una scissione fra la titolarità del servizio e il suo concreto esercizio mediante lo strumento tipico della concessione a terzi.

Nell’attuale quadro normativo non è possibile condurre una farmacia municipale in regime concessorio a terzi, sia pur individuati con gara ad evidenza pubblica, poiché è necessario che l’Ente mantenga il controllo e la gestione diretta di una propria funzione istituzionale, in coerenza con la finalità di servizio pubblico essenziale insita nel servizio farmaceutico.

Il divieto di poter affidare in concessione la gestione di tale servizio trova la propria ragione nel fine pubblico in vista del quale è stata concepita la prelazione legale in favore dei Comuni.

Intanto la legge conferisce a tali Enti il diritto di preferenza rispetto ai privati, in quanto il servizio di farmacia comunale si connota di tratti pubblicistici, di matrice assistenziale e sanitaria, la cui cura concreta richiede l’intervento della P.A. nella gestione dell’attività.

Se l’amministrazione esercita la prelazione farmaceutica, l’opzione presuppone la decisione “a monte” di assumere direttamente la gestione del servizio nelle forme previste dalla legislazione vigente o nelle forme societarie consentite dalla legislazione finanziaria.

L’esercizio della prelazione, cui consegue la rimessione del servizio a terzi mediante concessione, sia pur individuati con gara ad evidenza pubblica, si configura quale sequenza decisionale incoerente con il modello gestionale attualmente in vigore, rivelandosi pertanto non attuabile.

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