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Le Holding degli Enti Locali


di Roberto Camporesi e Stefano Foschi

Sistemi di governance delle partecipate a mezzo Holding.

La gestione dei diversi sistemi di governance delle società partecipate dagli enti locali è ormai tema in continua evoluzione e sempre di attualità.

Le ragioni che spingono gli enti locali a rendere più efficiente il sistema di “controllo” ed in generale di governo della proprie società partecipate sono da ricondurre all’esigenza di dare una declinazione operativa del buon andamento della Pubblica Amministrazione quale principio generale  contenuto nell’art. 97 della Carta Costituzionale.

In questo senso l’ente locale è sempre maggiormente sensibile a mettere in atto processi con soluzioni finalizzate a “governare”:

– il controllo della spesa pubblica correlata agli esiti gestionali delle partecipate;

– il controllo della conformità ai modelli legali ammessi (società strumentali, in house provinding, ecc.);

– il controllo della conformità del rispetto del Trattato Ue in tema libertà di concorrenza, apertura al mercato, rispetto nel principio dell’universalità ed accessibilità dei servizi erogati (gestione dei servizi pubblici locali, amministrazione delle infrastrutture non duplicabili asservite alla gestione dei servizi pubblici, gestione di servizi strumentali come forme di autoproduzione);

Già la dottrina[1], cui ha fatto seguito in epoca più recente anche la Corte dei Conti[2], hanno  canonizzato i sistemi di governo delle società partecipate riconducibili a tre modelli:

–          il modello tradizionale: caratterizzato da una struttura interna dell’ente locale socio, usualmente alle dipendenze del servizio finanziario e con spiccate competenze nelle materia societarie ed economico finanziarie.

Le competenze tecniche proprie delle gestione dei servizi delle società partecipate era rimesso ai singoli uffici tecnici che mantenevano una loro autonomia decisionale su tali aspetti;

–          il modello dipartimentale: caratterizzato da una struttura interna dell’ente locale socio, usualmente alle dipendenze della direzione generale e/o pianificazione strategica o con competenze interdisciplinari sia di carattere legale che economico finanziario nonché tecnico nel campo dei servizi svolti dalle società partecipate;

–          il modello Holding: caratterizzato da una società capogruppo che diviene titolare della proprietà delle partecipazioni nelle società partecipate in origine dall’Ente Locale.

I modelli su descritti possono essere considerati in senso evolutivo – come  dire che partendo dal modello tradizionale si arriva al modello Holding per evoluzione della specie – così come è stato per il caso del Comune di Forlì che aveva già implementato un articolato sistema di tipo dipartimentale per il “presidio” delle società ed organismi partecipati ma ha ritenuto necessario procedere con un sistema più efficacie ricorrendo alla Holding/capogruppo e ciò per dare risposta, in modo più efficace ed efficiente a due concrete esigenze, che il precedente adottato non aveva risolto appieno come tipo di problematica:

– superamento delle asimmetrie informative;

– controllo attuato anche attraverso i principi societari della direzione e coordinamento.

Superamento delle asimmetrie informative

Un elemento che storicamente ha segnato la criticità del sistema di controllo delle società partecipate è stato l’esigenza di superare le asimmetrie informative fra Ente Locale soci e società partecipate.

Infatti l’Ente Locale socio deve potere avere a disposizione le informazioni (soprattutto di natura economico finanziario) nei tempi e modi idonei affinché possa metter in moto la propria organizzazione interna per essere in grado di assumere le necessarie decisioni ex ante,  in termini di programmazione o di mero indirizzo delle proprie, nonché ex post in termine di azioni di controllo.

Un modello molto interessante di sistemi di controlli volti al superamento delle asimmetrie informative è previsto dall’art. 147 quater del nuovo del T.u. degli Enti Locali portato dalla bozza di modifica di cui al Ddl. n. 318 (decreto Calderoli) discusso ed approvato alla Camera il 30/06/2010 e trasmesso al Senato.

Il Dl. in corso di approvazione prevede che gli Enti locali, nella loro autonomia individuino gli strumenti e le metodologie “adeguati” a garantire, il controllo sulle società partecipate che deve inserirsi nel più ampio contesto della programmazione e controllo dell’azione dell’Ente Locale, attuato dai dirigenti che ne sono responsabili  secondo criteri  di sistematicità e di periodicità.

Il processo di programmazione e controllo delle società partecipate si deve articolare:

– nella definizione degli obiettivi in gestione delle partecipate secondo standard qualitativi e standard quantitativi (livello della programmazione);

– nella organizzazione di un sistema informativo finalizzato a rilevare:

– i rapporti finanziari tra ente proprietario e società

– la situazione contabile, gestionale, organizzativa della società;

– i contratti di servizio;

– la qualità di servizi

–  il rispetto di norme di legge sui vincoli di finanza pubblica:

– nell’organizzazione di un sistema di monitoraggio periodico nell’andamento delle società partecipate che consenta;

– l’analisi scostamenti rispetto obiettivi assegnati.

– l’individuazione delle opportune azioni correttive in riferimento ai possibili squilibri economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell’ente;

– nell’organizzazione dei risultati complessivi dell’Ente Locale e delle aziende partecipate mediante bilancio consolidato, secondo competenza economica.

La Holding può divenire un efficace sistema che supera le asimmetrie informative quando, come meglio illustrato in appresso, essa attua un sistema di governance che emula quello dell’Ente Locale di riferimento basato su documenti di programmazione economica finanziaria ex ante e verifica in corso che ex post.

Tale processo viene anticipato dal Comune di Forlì rispetto quando in tal senso prevedrà la specifica disposizione di legge di cui allo Schema di Decreto legislativo recante l’attuazione dell’art. 2 della Legge 31.12.2009 in materia di adeguamento ed armonizzazione dei sistemi contabili dello Stato e delle Pubbliche Amministrazioni che richiede che le società partecipate dallo stato o dalle altre Pubbliche Amministrazioni, che redigono il bilancio secondo le regole contenute nel c.c., in sede di redazione del proprio budget integrino le informazioni sulla spesa con apposito prospetto redatto in armonia suddividendole per aggregazioni per missioni e programmi accompagnata dalla corrispondente classificazione secondo la nomenclatura COGOF di secondo livello.

Di ciò se dovrà dare conto nella relazione sulla gestione e l’organo di revisione dovrà vigilare sull’osservanza di tale adempimento.

Controllo attuato anche attraverso i principi societari della direzione e coordinamento

Un altro aspetto che ha favorito l’adozione del modello della capogruppo è da ricercarsi nella possibilità di superare il sistema di autoreferenza che le singola società partecipate mettono in atto relazionandosi unicamente con la componente politica del socio Ente Locale.

Il superamento avviene con la costituzione della capogruppo cui conferire le partecipazioni dell’Ente Locale che assume a tutti gli effetti l’esercizio dei diritti del socio e quindi anche l’esercizio dell’attività di direzione di coordinamento  ovvero i diritti di socio di maggioranza, di modo che possono essere impartite specifiche disposizioni agli amministratori delle società partecipate, soprattutto in tema di adeguamento della governance secondo i criteri generali che presiedono anche quella della stessa Holding (budget, report in corso d’anno, analisi scostamenti in sede di bilancio d’esercizio).

In punto di diritto deve osservarsi infatti che non è del tutto pacifico che all’Ente Locale che controlla società di capitali si applica la disciplina dell’art. 2497 cod. civ. e ss. (direzione e coordinamento).

Occorre ricordare che ai sensi  dell’art. 2497 cod. civ. si considerano etero dirette quelle società sulle quali gli enti che ”esercitando attività di direzione e coordinamento di [ tali ] società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste del pregiudizio arrecato alla redditività  ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata  all’integrità del patrimonio della società”.

Sul tema è intervenuto l’art. 19 del D.l. n. 78/09 “provvedimento anticrisi”che ha fornito un’ interpretazione autentica che prevede: “L’articolo 2497, comma 1 del codice civile si interpreta nel senso che gli Enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell’ambito  della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economico finanziaria“.

Dalla lettura della norma si evince che, sotto il profilo del soggetto che sottopone a direzione e coordinamento, viene prevista espressamente l’esclusione dello Stato, mentre rientrano nella nozione di “Enti” di cui all’art. 2497 cod. civ. i soggetti giuridici collettivi per i quali la partecipazione sociale è finalizzata:

–           all’esercizio della propria attività imprenditoriale ovvero

–           per finalità di natura economico finanziaria.

Tale distinzione sembra avvalorare la tesi, già da tempo espressa da autorevole dottrina[3], in base alla quale gli Enti Pubblici Locali (provincie e comuni) non potevano essere sottoposti alle disposizioni dell’art. 2497 cod. civ. in quanto svolgono eminentemente fini istituzionali  e solo in parte anche attività riconducibili ai criteri dell’impresa.

La norma di interpretazione autentica è più precisa e fa riferimento sia all’attività imprenditoriale propria che, in alternativa, a finalità di natura economica (conseguire ricavi superiori a costi) che finanziaria (lucrare rendite di natura finanziaria).

L’interpretazione autentica dell’art. 2497 del cod. civ. non può essere letta disgiuntamente dalle novità in tema di società detenute dagli Enti Locali, le quali per essere legittimamente detenibili, ai sensi dell’art. 3 comma 27 e ss. della Legge finanziaria 2008, debbono unicamente:

–           prestare servizi di interesse generale nei limiti di competenza dell’Ente Locale socio;

–           svolgere servizi o attività strumentali per il perseguimento dei fini istituzionali dell’ente Locale socio, la cui disciplina di riferimento è l’art. 13 del Dl. n. 223/06 ( c.d Bersani).

Per cogliere appieno il complesso fenomeno delle società partecipate dalle Pubbliche Amministrazioni occorre riprendere la ripartizione su ricordata alla luce dell’interpretazione anche dalla Corte Costituzionale, Sentenza n.  326/08, in base alla quale ci viene offerta una prospettiva interpretativa basa sulla distinzione:

–           a)  società partecipate dalle Pubbliche Amministrazioni che gestiscono servizi di interesse generale svolgono un’attività d’impresa;

–           b) le società partecipate dalle Pubbliche Amministrazioni che prestano servizi o attività strumentali per il perseguimento dei fini istituzionali dell’Ente Locale socio, non svolgono un’attività d’impresa ma funzioni amministrative (cd. società semi amministrazioni)[4].

Ne consegue che:

–           qualora l’Ente Locale detenga partecipazioni di categoria a) l’ente locale e la sua società partecipata sono sottoposte a tutta la disciplina dell’art. 2497 e ss del c.c. al pari di ogni altro socio “privato” che esercita attività di direzione e coordinamento sulle proprie controllate.

–           Qualora l’ente locale detenga partecipazioni di categoria b) non si applicano le disposizioni dell’art. 2497 del c.c.

Applicando le conclusioni appena esposte al caso della Holding comunale ne consegue che:

–          l’Ente Locale che detiene l’unica partecipazione nella Holding qualifica tale partecipazioni fra quelle legittimamente detenibili ai sensi dell’art. 3, comma 27 e ss. della legge finanziaria 2008 in quanto rivolta al perseguimento dei fini istituzionali dell’Ente Locale socio, non svolgono un’attività d’impresa ma funzioni amministrative (cd. società semi amministrazioni): il Comune dunque non risponde ex art. 2497 c.c. per l’attività della Holding;

–          la Holding dell’Ente Locale, per effetto della proprietà transitiva, diviene il centro di imputazione della responsabilità da direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c., in luogo del  Comune e allora occorre ulteriormente indagare se alla Holding comunale si possa applicare la limitazione della predetta responsabilità, così come portata dall’interpretazione autentica su descritta, se e in quanto dovesse ritenersi prevalente la qualificazione della Holding quale soggetto qualificabile quale “semi amministrazione”svolgente attività meramente strumentali per l’Ente Locale.

La disquisizione appena accennata porta ad approfondire la natura della Holding comunale.

La natura della Holding  degli Enti Locali

Per l’imprenditore privato la Holding assume due versione differenti: la società che ha per oggetto il trading delle azioni o quote e quindi svolge la propria attività nei confronti del pubblico  e l’altra che invece assume la funzione di mera detenzione e gestione del portafoglio delle partecipazioni c.d. Holding di famiglia.

Per gli Enti Locali il modello Holding di riferimento non è certamente quello che fa il trading delle partecipazione ma bensì della società che svolge la funzione di assunzione e gestione delle partecipazioni in società di capitali in luogo dell’Ente Locale.

La dottrina ha oramai consolidato l’orientamento che la Holding (o capogruppo) sia uno strumento della Governance per il controllo delle società partecipate e quindi svolge una funzione strumentale all’attività istituzionale dell’Ente Locale.

In particolare il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili è intervenuto sull’argomento con un primo studio del maggio 2010 denominato “Costituzione della Holding” elaborato dalle commissioni dell’area Enti Pubblici “Servizi pubblici” e “Governance delle partecipate”, cui ha recentemente fatto seguito un ulteriore studio dell’aprile del 2011, che rappresenta un aggiornamento ed un approfondimento del precedente, che è denominato “Holding degli Enti Locali, attività finanziaria e modelli di governance” che ha statuito che il ruolo ovvero la “mission” della Holding comunale deve essere, in ogni caso, orientato al perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico di cui è portatore l’Ente Locale e quindi in prima battuta essa è quella di essere un mezzo:

– per attuare un’azione amministrativa coordinata ed unitaria (amministrazione delle partecipazioni);

– per organizzare le partecipate comunali in modo efficiente, efficace ed economico;”[5]

in modo più diretto: “Si tratta di un mezzo di governo e soprattutto una sistema complesso per l’amministrazione delle partecipate, vale a dire, in buona sostanza, per l’esercizio dei diritti di socio.”[6]

La natura strumentale della Holding, sia per quanto riguarda quella del Comune di Forlì che in generale quelle esaminate dagli studi citati del CNDCEC come modello di governance delle partecipate,  è in re ipsa, in quanto società ontologicamente rivolta alla assunzione e gestione delle partecipate dell’Ente Locale per potere attuare il proprio oggetto sociale.

Gli studi elaborati dal CNDCEC contengono i seguenti principi generali cui attenersi nell’interpretazione della natura e mission della Holding comunale:

–          deve essere il prodotto di un processo per l’implementazione di un modello di governance delle partecipate[7];

–           svolge un’attività strumentale per il raggiungimento dei fini istituzionali dell’Ente Locale ed in ragione di tale sua natura è società legittimamente detenibile dall’Ente Locale ai sensi dell’art. 3 comma 27 e ss. della Legge Finanziaria 2008[8].

In particolare il CNDCEC svolge una significativa  indagine sul concetto di servizi svolti a tale fine dalla società Holding: servizi che assumano anche la valenza di attività in senso astratto.

–          trattati di società che ricade e trova indirettamente la propria legittimazione  nell’art. 13 del decreto Bersani[9] stante la sua evidente natura strumentale che comunque viene rievocata dallo stesso art. 13 in commento atteso che l’ultima parte del primo comma è stato introdotto in sede di conversione proprio al fine di consentire alle società finanziarie/Holding delle Regione di poter svolgere la propria attività strumentale per le quali sono state costituite e quindi la norma consente opportunamente che in via generale le società strumentali che svolgono assunzione e gestione di partecipazioni per conto delle Pubbliche Amministrazioni non incappino nel divieto di partecipare in alte società; divieto che riguarda invece tutte le altre società strumentali;

–          l’oggetto della Holding dovrà far si che le società partecipate siano anch’esse riconducibili alle società detenibili ai sensi dell’art. 3 comma 27 della Legge Finanziaria 2008 e conforme quindi alle decisioni assunte dal consiglio comunale in ottemperanza della disposizione di legge appena citata. [10]

Inoltre lo studio “Holding degli enti locali, attività finanziaria e modelli di governance” affronta un tema di attualità: la valenza  della società Holding per i Comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti o con popolazione superiore a 30.000 ma inferiore a 50.000, per i quali, come noto, vigono i  divieti sulla detenzione della partecipazioni in società di capitali di cui all’art. 14 comma 32 del Dl. n. 78/08.

Lo studio conduce a riflettere sulla possibilità che la società Holding rappresenti un modello aggregativo per la detenzione congiunta delle partecipazioni dei Comuni con popolazione inferiore a 30.000; mentre per i Comuni con popolazione inferiore a 50.000 abitanti – ai quali viene consentita la detenzione di un’unica partecipazione in società di capitali – rappresenta un modello di riferimento allorché sia l’esito di un più ampio processo di razionalizzazione dei costi generali delle società, così da poter dimostrare che la costituzione della Holding cui conferire le partecipazioni, ha determinato in generale un risparmio di spesa.


[1] Davide Di Russo in “Governo, controllo e valutazione delle società partecipate dagli enti locali”, cap.1  “il modello organizzativo ed integrato per la governance” pag. 31 e ss Torino 2009 edizioni Map

[2] Corte dei Conti sezione autonomie “Stato dei controlli della corte dei conti sugli organismi partecipati dagli enti locali” deliberazione. 13/2008

[3] F. Galgano “Il nuovo diritto societario” Vol XXIX del Trattato di diritto commerciale di diritto pubblico dell’economia  Padova 2003

[4] Da ultimo in merito alla portata della responsabilità del socio ente pubblico locale che esercita l’attività direzione e coordinamento, si deve rilevare che trattasi di responsabilità patrimoniale per risarcire il danno causato agli altri soci e ai creditori della società partecipate. Il danno non è risarcibile se si dà dimostrazione del c.d interesse compensato, vale a dire se dall’operazione il gruppo ente locale, cui fa parte la società partecipata, ha ottenuto un beneficio complessivo. Il comportamento che dà luogo alla responsabilità è l’attività di direzione e coordinamento in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale attuata per perseguire interessi “imprenditoriali” propri del socio che controlla. La maggior parte della dottrina qualifica la responsabilità ex art. 2497 cod.civ. come responsabilità da fatto illecito.

Nel caso di enti locali appare assai improbabile immaginare un comportamento di enti pubblici che agiscano in modo illegittimo.

[5]Costituzione della Holding”  studio elaborato dalle Commissioni dell’area enti pubblici “Servizi pubblici” e “Governance delle partecipate” del CNDCEC del maggio 2010.

[6]Holding degli enti locali, attività finanziaria e modelli di governance” studio elaborato dalle Commissioni dell’area enti pubblici “Servizi pubblici” e “Governance delle partecipate” del CNDCEC del aprile 2011

[7] In dottrina ci peremette rinviare a “ I sistemi di programmazione e controllo dell’ente locale sugli organismi partecipati” di R Camporesi, S. Foschi e M. Castellani ed. Maggioli Rimini 2009

[8] Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all’articolo l, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. È sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza.

28. L’assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali devono essere autorizzati dall’organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al comma 27.

29. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, cedono a terzi le società e le partecipazioni vietate ai sensi del comma 27.”

[9] Decreto-Legge 4 luglio 2006, n. 223 (in Gazz. Uff., 4 luglio, n. 153). – Decreto convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248 – art. 13

1. Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali e dei servizi di committenza o delle centrali di committenza apprestati a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all’articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, nè in affidamento diretto nè con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale. Le società che svolgono l’attività di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o enti .

2. Le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1.”

[10] Parere Corte dei Conti sezione regionale di controllo per la Lombardia 21/9/2010 n. 874

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