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Privacy: videoriprese sul luogo di lavoro utilizzabili contro le molestie


Corte di Cassazione, sez. III pen., Sent. 37197/10
di Alessio Tavanti

Le videoriprese effettuate in ambito lavorativo, in accordo con la polizia, possono essere utilizzate come prova processuale per dimostrare le molestie subite sul luogo di lavoro.

E’ quanto ha affermato la Cassazione penale con la sentenza in commento, con la quale ha annullato la decisione del Giudice dell’udienza preliminare (Gup) rinviando la questione allo stesso per il suo riesame sulla base degli ulteriori elementi istruttori  ritenuti utilizzabili.

Nel caso di specie una dipendente, con distinte querele, aveva denunciato di essere oggetto di vessazioni, molestie, complimenti lascivi e costretta a subire atti sessuali da parte del proprio datore di lavoro, dietro minaccia di perdere il posto.

Il successivo procedimento penale instaurato per i reati continuati di violenza privata aggravata e violenza sessuale (artt. 609 bis e 610 c.p) si era concluso con la sentenza del Gup con la quale aveva dichiarato non luogo a procedere nei confronti del datore di lavoro con la formula “perché i fatti non sussistono”.

In particolare il Giudice ha sostegno della propria decisione rilevava, tra le altre cose, che la videoregistrazione ambientale, effettuata dalla dipendente in accordo con la Polizia, al pari delle dichiarazioni rese da persone informate sui fatti, erano inutilizzabili perché compiute oltre il termine della autorizzazione rilasciata dal Giudice per le indagini preliminari (Gip).

Le dichiarazioni rese dalla lavoratrice querelante, unica fonte di prova utilizzabile, sono state ritenute dal Gup non sufficienti a sostenere la richiesta di rinvio a giudizio per i reati su menzionati

Il Procuratore della Repubblica e la difesa della lavoratrice hanno promosso ricorso per Cassazione per l’annullamento della sentenza del Gup, deducendo difetto di motivazione e violazione di legge.

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha disatteso le ragioni fondanti la decisione del Gup fornendo, in particolare, un’interpretazione difforme circa l’utilizzabilità dei mezzi istruttori prodotti.

L’udienza preliminare ha una funzione di filtro, con la quale il Gup decide il rinvio a giudizio o meno di un procedimento penale qualora, come nel caso in esame, gli elementi probatori acquisiti risultino insufficienti, contraddittori oppure inidonei a sostenere l’accusa in giudizio.

Tale possibile conclusione tuttavia deve essere il risultato di un esame basato non solo sugli elementi istruttori allo stato acquisiti, ma anche sulle presumibili integrazioni probatorie derivanti dallo svolgimento del dibattimento.

Secondo la Corte, il Gup non ha chiarito in maniera esaustiva le ragioni comportanti l’inutilizzabilità di parte dei mezzi istruttori acquisiti e dei conseguenti motivi che impedivano il rinvio a giudizio del datore di lavoro.

Ad avviso del Giudice di legittimità, al di là del fatto che le dichiarazioni rese da persone informate potevano essere ben ripetibili in dibattimento, l’originaria contestazione poteva comunque trovare sostegno anche nelle sole dichiarazioni rese dalla lavoratrice.

Inoltre, nessun divieto probatorio avrebbe impedito l’utilizzabilità dei mezzi istruttori acquisiti dal PM successivamente al termine di chiusura delle indagini.

Semmai si sarebbe potuto ravvisare una lesione del diritto di difesa dell’imputato in caso di impossibilità di visionare i relativi atti, nullità peraltro non rilevabile d’ufficio e non dedotta nel caso di specie dallo stesso imputato.

Particolare attenzione, tuttavia, merita la valutazione in ordine all’utilizzabilità della videoregistrazione effettuata direttamente dalla lavoratrice.

In senso favorevole a tale possibilità è da rilevare l’importante giurisprudenza costituzionale (C.Cost. Sent. n. 135/02; Sent. n. 149/08; Sent. n. 320/09) e delle Sezioni Unite (Cass. S.U. Sent. n. 36747/03; Sent. n. 26795/06) formatasi sul punto.

Per valutare l’ammissibilità della registrazione, da un punto di vista normativo e di rispetto dei diritti fondamentali, occorre distinguere tra riprese visive di atti non comunicativi e di atti comunicativi.

Infatti mentre quest’ultimi devono considerarsi a tutti gli effetti intercettazioni, con conseguente applicazione della relativa disciplina a tutela di diritti costituzionalmente garantiti, la videoregistrazione di immagini non comunicative (mere condotte), disposte dalla Polizia nel corso delle indagini in luoghi non soggetti a particolare protezione (pubblici, aperti o esposti al pubblico) devono essere qualificate come documentazione dell’attività investigativa, che non richiede un provvedimento dell’autorità giudiziaria, e perciò utilizzabili come prove atipiche disciplinate dall’art. 189 c.p.p.

Tale conclusione non vale nel caso di videoregistrazioni effettuate in luoghi riconducibili al concetto di domicilio, il quale trova tutela a sensi dell’art. 14 Cost.

Nel caso in questione, si trattava di ripresa di immagini comunicative (inutilizzabili per carenza del necessario provvedimento autorizzatorio) e non comunicative riprese in un appartamento (adibito a studio professionale) dove si svolgevano manifestazioni di vita privata, riconducibile alla nozione di domicilio.

Ciononostante il caso è singolare per la circostanza che le riprese sono state effettuate direttamente dalla persona protagonista dell’episodio, verso la quale il datore di lavoro non aveva lo jus excludendi, poiché si trovava nel suo abituale ambiente di lavoro che costituiva il suo domicilio per un periodo di tempo limitato della giornata (nell’arco del quale sono stati commessi i fatti).

Tale aspetto consente di derogare alla tutela della privacy in quanto la ripresa effettuata, sia pure furtivamente, dalla parte lesa non ha violato l’intangibilità del domicilio né la necessaria riservatezza su attività che devono mantenersi nell’ambito privato essendo, come detto, nel suo domicilio e riprendendo illeciti che la riguardavano.

Consegue che, nel caso in esame, non essendo configurabile alcuna intrusione nell’altrui domicilio, e quindi violazione dell’art. 14 Cost., la videoripresa, almeno per quanto concerne il novero degli atti non comunicativi, è da considerarsi prova atipica e quindi utilizzabile dal Gup.

In conclusione la Corte di Cassazione, stanti le ragioni sopra evidenziate, ha ritenuto utilizzabili i mezzi istruttori non ammessi in sede di udienza preliminare disponendo, perciò, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale per il riesame della questione.

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