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Permessi per l’assistenza a persone con disabilità: forniti alcuni chiarimenti dalla Funzione pubblica sulla Legge n. 183/10


Funzione pubblica, Circolare n. 13/10
di Chiara Zaccagnini

La Funzione pubblica con la Circolare n. 13 del 6 dicembre 2010 ha fornito alcuni chiarimenti in merito alle modifiche apportate alla disciplina in materia di permessi per l’assistenza alle persone con disabilità.

È stata pubblicata sulla G.U. del 9 novembre 2010, n. 262, la Legge n. 183/10 (c.d. Collegato lavoro), che è entrata in vigore il 24 novembre 2010.

Tale normativa con l’art. 24, concernente “Modifiche alla disciplina in materia di permessi per l’assistenza a portatori di handicap in situazioni di gravità”, ha modificato parzialmente il regime dei permessi per l’assistenza ai soggetti disabili, contenuto nella Legge n. 104/92 “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” e nel Dlgs. n. 151/01 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53”.

La norma innovatrice ha, inoltre, previsto l’istituzione di una banca dati informatica per la raccolta e la gestione dei dati relativi alla fruizione dei permessi.

Le principali novità apportate dall’art. 24 della Legge n. 183/10 consistono sostanzialmente nella restrizione dei soggetti legittimati a fruire dei permessi per assistere persone in situazione di handicap grave, nell’eliminazione dei requisiti della convivenza e della continuità ed esclusività dell’assistenza prestata dal lavoratore.

Lavoratori legittimati a fruire dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della Legge n. 104/92

L’art. 33, comma 3, della Legge n. 104/92 e l’art. 42, comma 2, del Dlgs. n. 151/01 sono stati sostituiti rispettivamente dai commi 1, lett. a), e 2 dell’art. 24 della Legge n. 183/10, inoltre, il citato articolo ha abrogato il comma 3 dell’art. 42.

Il novellato comma 3 dell’art. 33 ha stabilito che “a condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente”.

Nell’ipotesi in cui ricorrano tali presupposti, la legge ha previsto la possibilità di estendere la legittimazione alla titolarità dei permessi anche ai parenti e agli affini entro il terzo grado.

Pertanto, la novità più rilevante rispetto al regime previgente è rappresentata dalla restrizione della categoria di familiari che possono fruire dei permessi, al secondo grado di parentela, salvo la ricorrenza delle situazioni eccezionali dell’assenza, dell’età anagrafica o delle patologie.

In mancanza di una definizione della nozione di “patologie invalidanti” da parte della legge, è utile considerare come punto di riferimento per l’individuazione di queste patologie l’art. 2, comma 1, lett. d), del Decreto interministeriale n. 278/00 (“Regolamento recante disposizioni di attuazione dell’articolo 4 della L. 8 marzo 2000, n. 53, concernente congedi per eventi e cause particolari”), il quale ha stabilito le ipotesi in cui è possibile accordare il congedo per gravi motivi, di cui all’art. 4, comma 2, (“Congedi per eventi e cause particolari”) della Legge n. 53/00 (“Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”).

In particolare, le patologie invalidanti sono:

  1. patologie acute o croniche che determinano temporanea o permanente riduzione o perdita dell’autonomia personale, ivi incluse le affezioni croniche di natura congenita, reumatica, neoplastica, infettiva, dismetabolica, post-traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivanti da dipendenze, a carattere evolutivo o soggette a riacutizzazioni periodiche;
  2. patologie acute o croniche che richiedono assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici e strumentali;
  3. patologie acute o croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario.

In presenza di queste situazioni, adeguatamente documentate, la legge riconosce la possibilità di ampliare la cerchia dei familiari legittimati a fruire dei permessi ex art. 33, comma 3, della Legge n. 104/92, fatto salvo che i soggetti affetti dalle patologie in esame siano in grado di prestare un’assistenza adeguata alla persona in situazione di handicap grave.

Nell’ipotesi in cui il coniuge o i genitori della persona in situazione di handicap grave siano affetti dalle patologie rientranti in questo elenco, l’assistenza potrà essere prestata anche da parenti o affini entro il terzo grado.

Tale estensione vale anche nel caso di decesso o assenza del coniuge o del genitore della persona in situazione di handicap grave.

Possono essere ricondotte al concetto di assenza, in riferimento alla disciplina in esame, oltre alle situazioni di assenza naturale e giuridica in senso stretto (celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto), le situazioni giuridiche ad esse equiparabili, che abbiano carattere stabile e certo, quali il divorzio, la separazione legale e l’abbandono, discendenti da documentazione dell’autorità giudiziaria o di altra pubblica autorità.

Nella diposizione normativa è stata utilizzata la congiunzione disgiuntiva (“qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti“), pertanto, da ciò si può dedurre che è possibile passare al terzo grado di assistenza anche nel caso in cui uno solo dei soggetti menzionati (coniuge, genitore) si trovi in situazione di assenza, decesso o patologie invalidanti.

Individuazione di un referente unico per l’assistenza alla stessa persona

Nel modificare la disciplina sulla legittimità a fruire dei permessi, l’art. 24 della Legge n. 183/10 non ha richiamato i requisiti della continuità e dell’esclusività dell’assistenza previsti dalla previgente normativa.

Il Legislatore ha, però, stabilito che tale diritto “non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità”.

In tal modo la legge ha limitato il concetto di esclusività, prevedendo che i permessi possono essere concessi ad un unico lavoratore per l’assistenza alla stessa persona.

Pertanto, secondo quanto previsto dalla legge, deve essere nominato un unico referente per ciascun disabile, al quale viene attribuito “il ruolo e la connessa responsabilità di porsi quale punto di riferimento della gestione generale dell’intervento, assicurandone il coordinamento e curando la costante verifica della rispondenza ai bisogni dell’assistito” (Consiglio di Stato, parere n. 5078/08).

La nuova disciplina non preclude la possibilità per lo stesso dipendente di assistere più persone in situazione di handicap grave, con la conseguenza che, ove ne ricorrano tutte le condizioni, il medesimo lavoratore potrà fruire di permessi anche in maniera cumulativa per prestare assistenza a più persone disabili.

Infine, è riconosciuta la possibilità al lavoratore in situazione di handicap grave di assistere altro soggetto che si trovi nella stessa condizione e, in presenza dei presupposti di legge, tale lavoratore potrà fruire dei permessi per se stesso e per il familiare disabile che assiste.

La posizione dei genitori che assistono un figlio in situazione di handicap grave

I novellati artt. 33 della Legge n. 104/92 e 42 del Dlgs. n. 151/01 hanno previsto una particolare disciplina per i genitori che assistono un figlio in situazione di handicap grave, valorizzando il rapporto genitoriale.

Il comma 3 dell’art. 33, ha stabilito che l’assistenza nei confronti del figlio disabile può essere prestata alternativamente da entrambi i genitori.

Pertanto, fatto salvo il limite complessivo dei tre giorni mensili, i permessi giornalieri possono essere utilizzati dal lavoratore padre o dalla lavoratrice madre per l’assistenza al medesimo figlio. Tali permessi possono essere fruiti anche dai genitori di un minore di tre anni in situazione di handicap grave.

I genitori di minore di tre anni disabile, oltre alla possibilità di usufruire dei permessi giornalieri di cui all’art. 33 della Legge n. 104/92, hanno il diritto, riconosciuto dall’art. 42 del Dlgs. n. 151/01, di fruire, in alternativa a tali permessi mensili, del prolungamento del congedo parentale o dei riposi orari retribuiti.

I genitori possono usufruire di tali istituti alternativamente e non cumulativamente nell’arco del mese. Tale interpretazione è confermata dalla previsione dell’art. 42, comma 4, del Dlgs. n. 151/01, secondo il quale è possibile cumulare i riposi e i permessi con il congedo parentale ordinario e il congedo per la malattia del figlio, escludendo al contrario la cumulabilità degli istituti speciali, considerati alternativi.

Possono fruire delle agevolazioni previste dall’art. 33, comma 3, della citata Legge anche i parenti e gli affini, naturalmente nel limite dei tre giorni e in alternativa ai genitori.

I presupposti oggettivi per il riconoscimento dei permessi:

a) la persona in situazione di handicap grave non deve essere ricoverata a tempo pieno.

Tale presupposto, già presente nella previgente disciplina, è stato mantenuto dalla novellata disposizione.

Per ricovero a tempo pieno si deve intendere il ricovero per le intere 24 ore.

Inoltre, il ricovero deve avvenire presso strutture ospedaliere o comunque strutture pubbliche o private che assicurino assistenza sanitaria.

Eccezione a tale presupposto sono le seguenti circostanze:

  • interruzione del ricovero per necessità del disabile di recarsi fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite o terapie;
  • ricovero a tempo pieno di un disabile in coma vigile e/o in situazione terminale;
  • ricovero a tempo pieno di un minore in situazione di handicap grave per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un famigliare.

Tali circostanze devono essere comprovate da idonea documentazione medica che l’Amministrazione è tenuta a valutare.

b) l’eliminazione dei requisiti della convivenza, della continuità ed esclusività dell’assistenza.

Il novellato art. 20, comma 1, della Legge n. 53/00, non prevede più come presupposti necessari per la fruizione dei permessi da parte dei beneficiari i requisiti della continuità e dell’esclusività dell’assistenza.

Inoltre, nella riformulazione dell’art. 33, comma 3, della Legge n. 104/92 è venuto meno il requisito della convivenza, che era necessario per la fruizione dei permessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 20 della Legge n. 53/00.

Conseguentemente è stato abrogato l’art. 42, comma 3, del Dlgs. n. 151/01, il quale stabiliva che i permessi dei genitori di figlio in situazione di handicap grave maggiore di età potessero essere fruiti a condizione che fosse stato rispettato il presupposto della convivenza o che l’assistenza fosse stata continuativa ed esclusiva.

Sede di servizio

Il comma 5 dell’art. 33 della Legge n. 104/92, modificato dall’art. 24, comma 1, lett. b), della Legge n. 183/10 ha stabilito che “il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.

L’avvicinamento che il lavoratore può ottenere mediante il trasferimento, pertanto, riguarda esclusivamente il domicilio del soggetto da assistere.

Oneri del dipendente interessato alla fruizione delle agevolazioni

Il dipendente che vuole fruire di tali agevolazioni ha l’onere di presentare apposita istanza e di dimostrare la sussistenza dei presupposti di legittimazione mediante la produzione di idonea documentazione.

Il dipendente è tenuto, pertanto, a presentare la seguente documentazione:

  • verbale della commissione medica, il quale attesti la sussistenza della situazione di handicap grave;
  • certificato medico, attestante la patologia invalidante di cui all’art. 33, comma 3, della Legge n. 104/92;
  • documentazione medica attestante che la persona in situazione di handicap grave non è ricoverata a tempo pieno.

Inoltre, l’interessato deve presentare una dichiarazione di responsabilità e consapevolezza, dalla quale si deve evincere che:

  • il dipendente presta assistenza nei confronti del disabile per il quale sono chieste le agevolazioni;
  • il dipendente è consapevole che le agevolazioni sono uno strumento di assistenza del disabile;
  • il dipendente è consapevole che la possibilità di fruire delle agevolazioni comporta un onere per l’Amministrazione e un impegno di spesa pubblica per lo Stato e la collettività;
  • il dipendente si impegna a comunicare tempestivamente ogni variazione della situazione di fatto e di diritto da cui consegua la perdita della legittimazione alle agevolazioni.

Salvo comprovate situazioni di urgenza, l’interessato dovrà comunicare al dirigente competente le assenze dal servizio, per la fruizione dei permessi, con adeguato anticipo, al fine di consentire la migliore organizzazione dell’attività amministrativa.

Doveri dell’amministrazione

L’Amministrazione, a seguito della ricezione dell’istanza di fruizione delle agevolazioni da parte del dipendente, dovrà verificare l’adeguatezza e correttezza della documentazione presentata, chiedendone, se lo ritiene opportuno, l’integrazione.

Per quanto riguarda le dichiarazioni sostitutive, saranno oggetto di verifica da parte dell’Amministrazione, secondo le consuete modalità di cui agli artt. 71 (“Modalità dei controlli”) e 72 (“Responsabilità dei controlli”) del Dpr. n. 445/00, per mezzo dei propri servizi ispettivi, o in ogni caso in base alle disposizioni impartite dall’ufficio preposto alla gestione del personale.

Tale verifica dovrà essere svolta periodicamente, anche a campione.

Nell’ipotesi in cui da tale accertamento risultasse l’inconsistenza dei presupposti per la legittima fruizione dei permessi, l’Amministrazione dovrà provvedere a revocare i benefici riconosciuti per effetto della decadenza.

Se dagli accertamenti eseguiti dall’Amministrazione emergessero gli estremi di una responsabilità disciplinare del dipendente, la stessa dovrà procedere alla tempestiva contestazione degli addebiti per lo svolgimento del relativo procedimento e, se opportuno, alla comunicazione alle autorità competenti delle ipotesi di reato.

L’avvio e l’esito dei procedimenti disciplinari devono essere comunicati all’Ispettorato per la Funzione pubblica, secondo quanto previsto dalla Direttiva del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione n. 8/07.

L’Amministrazione è tenuta a comunicare i permessi fruiti dai propri dipendenti per l’inserimento nella banca dati istituita presso il Dipartimento della Funzione pubblica (art. 24, commi da 4 a 6, Legge n. 183/10).

Ogni Amministrazione, ai fini applicativi della Legge n. 183/10, dovrà riesaminare i provvedimenti di assenso già adottati al fine di verificare la sussistenza delle condizioni previste dalle nuove disposizioni.

In caso di insussistenza dei requisiti richiesti, fatto salvo opportune integrazioni da parte dell’interessato della documentazione prodotta al momento della richiesta, l’atto di assenso dovrà essere revocato e le agevolazioni non potranno essere più concesse per effetto della decadenza.

La decadenza

Il nuovo comma 7-bis dell’art. 33 della Legge n. 104/92, introdotto dall’art. 24, comma 1, lett. c), della Legge n. 183/10, ha stabilito che “ferma restando la verifica dei presupposti per l’accertamento della responsabilità disciplinare, il lavoratore di cui al comma 3 decade dai diritti di cui al presente articolo, qualora il datore di lavoro o l’INPS accerti l’insussistenza o il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei medesimi diritti”.

L’accertamento dell’insussistenza dei requisiti è di competenza del datore di lavoro, privato o Pubblica Amministrazione, e dell’INPS per quanto riguarda il settore del lavoro privato.

Si ha decadenza a seguito:

  • del venir meno della situazione di handicap grave, conseguentemente alla visita di revisione;
  • del decesso della persona in situazione di handicap grave;
  • del sopravvenuto ricovero a tempo pieno del disabile;
  • della fruizione dei permessi da parte di due lavoratori, per assistere la medesima persona in situazione di handicap grave.

Banca dati

L’art. 24, commi 4-6, della Legge n. 183/10 ha previsto l’istituzione, presso il Dipartimento della Funzione pubblica, di una banca dati finalizzata al monitoraggio e al controllo sulla legittima fruizione dei permessi accordati ai pubblici dipendenti, che ne dispongono in quanto persone disabili o prestano assistenza ad altra persona in situazione di handicap grave.

Una volta che tale banca dati verrà attivata, le P.A. dovranno comunicare i dati rilevanti alla fruizione dei permessi, per via telematica, entro il 31 marzo di ciascun anno.

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