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Incarichi dirigenziali: si applicano anche alle Regioni i vincoli della Riforma Brunetta


Corte Costituzionale,sentenza n. 324/10
di Giulia Rizza

La Corte Costituzionale ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 40, comma 1, lett. f) e 49, comma 1 del D.lgs. n. 150/09, che prevedono limiti agli incarichi dirigenziali conferiti a soggetti esterni alla P.A., nonché l’obbligo di attivare procedure di mobilità volontaria prima di indire concorsi pubblici.

Questa la decisione presa dalla Corte con la sentenza in commento, con cui sono state respinte le censure promosse dalle Regioni Piemonte, Toscana e Marche.

Le suddette Regioni avevano impugnato l’art. 40, comma 1, lett. f) del D.lgs. n. 150/09, nella parte in cui, introducendo modifiche all’art. 19 del D.lgs. n. 165/01, ha ampliato anche alle Regioni quanto previsto per il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’amministrazione.

La disposizione contestata prevede che tali incarichi possono essere conferiti, da ciascuna amministrazione, nel limite del 10% della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia e dell’8% della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia.

Devono essere conferiti, inoltre, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica.

Le Regioni hanno dedotto la violazione degli artt. 76, 117, comma 3 e 4 e 119 della Costituzione.

Ad avviso delle ricorrenti, le disposizioni richiamate farebbero riferimento alle modalità di accesso all’impiego pubblico, materia che rientra nel più ampio ambito dell’autonomia dell’organizzazione amministrativa regionale, che a sua volta appartiene, ex art. 117, comma 4 della Costituzione, all’ambito di competenza residuale esclusiva della Regione.

Tuttavia, le Regioni hanno sostenuto che, anche se la norma impugnata rientrasse nelle competenze legislative concorrenti ex art. 117, comma 3 della Costituzione, sarebbe comunque illegittima.

Essa, infatti, non si limita a indicare principi fondamentali in materia, ma detta direttamente la regola applicativa, fissando la percentuale di incarichi dirigenziali esterni attribuibili e la loro durata massima, senza lasciare alle Regioni autonomia di scelta.

Ad avviso delle Regioni, inoltre, la norma censurata non rientrerebbe neppure nella materia del coordinamento della finanza pubblica, di competenza statale, in quanto il conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato non comporta un aumento di spesa, poiché strumento cui ricorrere per far fronte ad esigenze straordinarie e temporanee.

Come tale, sarebbe ricompresa nelle materie di competenza residuale esclusiva della Regione.

Comunque, anche se fosse possibile ravvisare nella norma impugnata una finalità di contenimento della spesa, la disposizione sarebbe comunque in contrasto con il comma 3 dell’art. 117 della Costituzione poiché, dato il suo livello di dettaglio, determinerebbe un’inammissibile ingerenza nell’autonomia finanziaria regionale.

La Regione Toscana ha inoltre sostenuto che anche l’art. 49, comma 1 del D.lgs. n. 150/09 contrasterebbe con gli artt. 97 e 117, comma 4 della Costituzione.

La norma ha sostituito l’art. 30, comma 1, del D.lgs. n. 165/01 in tema di mobilità volontaria tra le P.A., imponendo a tutte le amministrazioni, e dunque anche alle Regioni, prima di procedere all’espletamento di procedure concorsuali necessarie per coprire posti vacanti, di “rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta”.

La norma impugnata, riferendosi alla mobilità volontaria e prescindendo del tutto da un esubero del personale, inciderebbe fortemente sull’autonomia organizzativa delle amministrazioni regionali, in violazione dell’art. 117, comma 4 della Costituzione.

Comporterebbe, infatti, una limitazione alla possibilità per l’amministrazione di ricercare, scegliere e assumere il personale più preparato attraverso l’espletamento di concorso pubblico, così come dettato dall’art. 97 della Costituzione.

Inoltre, nel caso in esame, la deroga al pubblico concorso non sarebbe giustificabile in base ad alcuna esigenza di interesse pubblico, poiché l’assunzione con la procedura di mobilità risponderebbe solo all’interesse dell’interessato al trasferimento per motivi personali.

La Corte Costituzionale ha respinto tutte le eccezioni di costituzionalità presentate.

Il Collegio, infatti, ritiene che la disciplina introdotta dal Dlgs. n. 165/01 sia riconducibile alla materia dell’ordinamento civile, ex art. 117, comma 2, lett. l) della Costituzione di competenza esclusiva dello Stato.

L’art. 19 del Dlgs. n. 165/01 non attiene né alle procedure per l’accesso al pubblico impiego, né alla scelta e alla modalità di costituzione del rapporto giuridico.

Si limita, invece, ad individuare i requisiti soggettivi del contraente, la durata massima del rapporto, ed alcuni aspetti del regime economico e giuridico.

La fattispecie è, pertanto, riconducibile alla regolamentazione del particolare contratto che l’amministrazione stipula con il soggetto esterno, che avviene con contratti di lavoro privati, che, in quanto tali, appartengono alla materia dell’ordinamento civile, rispetto alla quale sussiste esclusivamente competenza dello Stato.

Stesso discorso vale per la censura dell’art. 49 del Dlgs. n.150/09.

La mobilità volontaria è, infatti, una fattispecie di cessione del contratto, negozio tipico disciplinato dal Codice Civile e, come tale, rientrante nella materia dell’ordinamento civile, non in ambiti di competenza regionale.

Incarichi dirigenziali degli Enti Locali

Nonostante il caso concreto, cui la sentenza commentata fa riferimento, attenga alle Regioni, è opportuno approfondire la questione dell’attribuzione degli incarichi dirigenziale a tempo determinato negli Enti Locali.

Il  modificato comma 6-ter dell’art. 19 del D.lgs. n. 165/01 ha infatti previsto l’applicazione della nuova disciplina in materia di incarichi dirigenziali esterni a tutte le amministrazioni pubbliche, e quindi anche agli Enti Locali.

Ciò comporta problemi di compatibilità con la previsione dell’art. 110 del Testo Unico degli Enti Locali (Dlgs. n. 267/00), che prevede una disciplina particolare e compiuta della dirigenza locale, senza stabilire alcun limite per le assunzioni a tempo determinato finalizzate alla copertura dei posti di responsabili degli uffici e dei servizi previsti in organico, ponendosi quindi in maniera alternativa alla nuova normativa statale.

Tuttavia, è opportuno ricordare che opera in materia la clausola di specialità di cui all’art. 1, comma 4 del Tuel che, in ossequio al principio di autonomia degli Enti locali, stabilisce che le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni.

Gli incarichi dirigenziali affidati dagli Enti Locali non sono conferiti secondo le norme dell’art. 19 del D.lgs. n. 165/01, ma ai sensi dell’art. 110 Tuel, che non è stato modificato dal Dlgs. n. 150/09.

Pertanto, per gli Enti Locali la norma di riferimento per l’affidamento degli incarichi continua ad essere l’art. 110 del Tuel.

Quindi, in forza dell’autonomia organizzativa loro riconosciuta dalla Costituzione, gli Enti Locali, nei limiti di cui all’art. 110 del Tuel, possono disciplinare con le modalità più corrispondenti alla singola realtà locale le tipologie di incarichi da conferire ai dirigenti ad essi preposti.

In tal modo potranno conferire incarichi temporanei tenendo comunque presente, da un lato, i limiti imposti dai principi di sana gestione delle risorse pubbliche a disposizione degli Enti; e d’altro lato, dell’eccezionalità della disposizione di cui all’art. 110 del Tuel nel sistema del conferimento d’incarichi dirigenziali.

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