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Comunità montane: è illegittima la cessazione del finanziamento agli investimenti da parte dello Stato


Corte Costituzionale, Sentenza n. 326/2010
di Alessio Tavanti

I provvedimenti finanziari adottati con legge statale al fine di contenimento della spesa pubblica, non possono prescindere dall’individuazione certa delle fonti di finanziamento delle spese degli Enti locali territoriali e dunque anche delle Comunità montane, per evitare di compromettere la certezza delle risorse economiche effettivamente disponibili per il raggiungimento delle rispettive finalità istituzionali.

E’ quanto ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza in commento con la quale ha parzialmente accolto i ricorsi proposti da alcune Regioni relativamente alle previsioni contenute nel comma 187 della Finanziaria 2010 concernenti il finanziamento delle Comunità montane.

L’originario oggetto del giudizio di costituzionalità, oltre alla norma della finanziaria sopra citata, era rappresentato anche dall’art. 2, comma 186, lettere a) ed e), della suddetta Legge, con riguardo alle previsioni di soppressione della figura del difensore civico comunale di cui all’art. 11 TUEL (lett. a) e dei consorzi di funzioni tra Enti locali (lett. e).

Tuttavia rispetto a tali disposizioni la Corte si è espressa dichiarando inammissibili le relative questioni, in ragione della disciplina normativa sopravvenuta ai ricorsi presentati e non impugnata dalle Regioni da cui ne è derivato un difetto di interesse a proseguire nel giudizio.

Infatti, con il Dl. n. 2/10, convertito con Legge n. 42/10 (si veda newsletter SELF n. 4/10) rispetto alla figura del difensore civico, è stata prevista esclusivamente la soppressione del difensore civico comunale, le cui funzioni vengono, però, attribuite a quello della provincia nel cui territorio rientra il relativo Comune, con la nuova denominazione di “difensore civico territoriale”.

I Giudici costituzionale evidenziano al riguardo, il fatto che le modifiche introdotte dalle disposizioni sopravvenute non hanno operato la soppressione delle funzioni precedentemente attribuite al difensore civico comunale, ma hanno solamente inciso sulla titolarità delle medesime, prevedendone l’esercizio ad un livello territoriale più ampio, vale a dire quello provinciale.

La Corte perviene alle stesse conclusioni anche per quanto concerne la disciplina dei consorzi di funzioni tra Enti locali.

Rispetto a tale strumento con il Dl. n. 2/10 ne è stata confermata la soppressione con decorrenza dal 2011 con contestuale trasferimento delle funzioni ai Comuni titolari.

Successivamente, è intervenuto l’art. 14, comma 28, del Dl. n. 78/10, convertito nella Legge n. 122/10 (si veda newsletter SELF n. 7/10), a sancire l’obbligatorietà dell’esercizio in forma associata, attraverso convenzione o unione, delle funzioni fondamentali dei Comuni, previste dall’art. 21, comma 3 della Legge n. 42/09, con popolazione fino a 5.000 abitanti, anche appartenenti o già appartenuti a Comunità montane, con popolazione stabilita dalla legge regionale e comunque inferiore a 3.000 abitanti.

Da ciò rileva che la sopravvenuta previsione legislativa contenente un espresso riferimento alle Comunità montane anche in questo caso ha svuotato di contenuto la questione di costituzionalità sollevata dalle Regioni ricorrenti, con conseguente dichiarazione di inammissibilità della stessa.

Discorso parzialmente diverso deve essere fatto con riguardo al comma 187.

Anche in questo caso la normativa sopravvenuta ha inciso in maniera rilevante sulle questioni oggetto di giudizio costituzionale.

La disposizione della Finanziaria 2010 impugnata ha previsto che “a decorrere dalla data di entrata in vigore… lo Stato cessa di concorrere al finanziamento delle comunità montane previsto dall’art. 34 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e dalle altre disposizioni di legge relative alle comunità montane. Nelle more dell’attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, il 30% delle risorse finanziarie di cui al citato articolo 34 del decreto legislativo n. 504 del 1992 e alle citate disposizioni di legge relative alle comunità montane è assegnato ai comuni montani e ripartito tra gli stessi con decreto del Ministero dell’interno…sono considerati comuni montani i comuni in cui almeno il 75 per cento del territorio si trovi al di sopra dei 600 metri sopra il livello del mare”.

Il Dl. n.2/10 citato, in proposito, ha successivamente stabilito che, nelle more dell’attuazione della Legge n. 42/09 parte delle risorse, già prima attribuite alle Comunità montane, siano devolute non più ai Comuni montani, ma ai Comuni già appartenenti alle Comunità montane, previa intesa da raggiungere in sede di conferenza unificata.

Inoltre, è stato soppresso l’inciso relativo alla definizione dei requisiti per la qualificazione come montani dei Comuni (come sancito dalla sentenza della C.Cost. n. 27/10 (si veda newsletter SELF n. 3/10)

La portata di tali modificazioni, che non hanno formato oggetto di autonoma impugnazione da parte delle Regioni per le stesse ragioni viste con riferimento al comma 186, ha comportato il difetto di interesse all’impugnazione.

Al contrario nessuna novità è intervenuta rispetto alla prima parte del comma 187, relativa alla cessazione del finanziamento statale stabilito in favore delle Comunità montane dall’art. 34 del Dlgs. n. 504/92 e dalle altre disposizioni di legge statali in materia, nonché quella relativa allo strumento (decreto ministeriale), previsto per la ripartizione, in via transitoria, delle risorse pari al 30% del finanziamento statale al quale si riferisce la norma.

Per questa parte, stante la sostanziale identità di contenuto tra la originaria disposizione della prima parte del comma 187 e quella introdotta dal Dl. n. 2/10, la questione di legittimità costituzionale sollevata dalle ricorrenti si è trasferita sulla medesima disposizione del citato Decreto.

Nel merito, la Corte ha ritenuto la questione parzialmente fondata.

Tale disposizione, connessa con la norma contenuta nel comma 183 che determina la riduzione dei trasferimenti ordinari agli enti locali, si inserisce in una complessa manovra di contenimento della spesa pubblica, con particolare riferimento alla spesa per gli Enti locali.

Riguardo alle Comunità montane dal contenuto del citato art. 34 del Dlgs. n. 504/92, si evince, che per i bilanci di detti Enti lo Stato concorre al finanziamento della spesa corrente con assegnazioni a valere sul fondo ordinario e sul fondo consolidato, mentre per i trasferimenti in conto capitale assume rilievo il fondo nazionale ordinario per gli investimenti, che è un fondo diretto, sostanzialmente, al finanziamento della spesa per il pagamento delle rate dei mutui stipulati anteriormente all’entrata in vigore del citato Decreto.

Secondo l’orientamento della Corte ai fini dell’identificazione della materia nella quale si colloca la normativa impugnata, è necessario fare riferimento all’oggetto della disciplina medesima, tenendo conto della sua ratio in modo da identificare correttamente e compiutamente anche l’interesse tutelato (C.Cost., Sent. n. 430/07).

In applicazione di tale criterio, appare evidente che le disposizioni impugnate trovano collocazione nella materia coordinamento della finanza pubblica rientrante tra quelle di competenza concorrente dall’art. 117, comma 3, Cost.

La consolidata giurisprudenza della Corte, inoltre, ha affermato che le norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ove si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo della spesa corrente, e prevedano in maniera puntuale strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi.

In particolare, con riguardo alle Comunità montane l’esercizio della potestà legislativa statale concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica, attraverso la fissazione di principi fondamentali, non è limitata dalla circostanza che va a incidere su uno specifico ambito materiale, quello delle Comunità montane, rimesso alla potestà legislativa residuale delle Regioni per cui il legislatore statale può “legittimamente imporre alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari” (C.Cost. sent n. 52/10 e n. 237/09).

Tuttavia ciò deve avvenire nel rispetto dei canoni generali di ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento normativo rispetto all’obiettivo prefissato.

Pertanto, la normativa in esame finalizzata al contenimento della spesa pubblica degli Enti locali costituisce espressione del potere dello Stato di fissare i principi fondamentali nella materia sopra indicata senza che ne derivi, come prospettato dalle Regioni, una lesione delle proprie competenze riconosciute dall’art. 117, comma 4, Cost.

Altresì infondata risulta la censura mossa dalle Regioni con riferimento alla presunta violazione del principio di leale collaborazione, per il fatto che per la soppressione del finanziamento statale, con specifico riferimento agli investimenti, sarebbe stato indispensabile il coinvolgimento della Regione, quanto meno nella determinazione di modalità e tempi di attuazione della riduzione del finanziamento.

La Corte in merito ha affermato come il rispetto di tale principio, pur non trovando applicazione nell’iter di formazione delle leggi, relativamente alle Comunità montane trovi espressa soluzione all’interno delle modifiche introdotte dal Dl. n. 2/10, il quale ha previsto che il decreto ministeriale di riparto, del 30% delle risorse tra i Comuni interessati di cui all’art. 34 citato, sia adottato previa intesa in sede di Conferenza unificata.

Il comma 187, relativamente al fondo nazionale ordinario per gli investimenti non contiene alcuna indicazione, che pure sarebbe stata necessaria, in ordine al pagamento dei mutui pluriennali ancora in essere, stipulati dalle Comunità montane con il concorso dello Stato, che ha fatto sorgere in capo a queste ultime un legittimo affidamento.

Per tale profilo, pertanto, la norma lede il canone di ragionevolezza citato andando ad incidere sulla “autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali come ridisegnata dall’art. 119 Cost. e come operante nelle more dell’attuazione del c.d. federalismo fiscale, lasciando privo di copertura finanziaria e, comunque, di una regolamentazione sia pure transitoria, un settore di rilievo, qual è quello degli investimenti strutturali a medio e lungo termine effettuati mediante la stipulazione di mutui originariamente “garantiti” dal finanziamento statale”.

Secondo la Corte risulta altresì viziato da illegittimità costituzionale, per irragionevolezza, il generico e indeterminato riferimento alla cessazione dei finanziamenti statali di cui alle “altre disposizioni di legge relative alle comunità montane” per il fatto che non consentendo di verificare la fonte e la destinazione delle risorse statali soppresse, viola i principi di certezza delle entrate, di affidamento e di corrispondenza tra risorse e funzioni pubbliche al cui esercizio esse sono preordinate.

Tale generica previsione inoltre impedisce una realistica valutazione degli effetti della normativa stessa sull’autonomia finanziaria delle Regioni, in sede di riorganizzare e successiva allocazione delle risorse in sede locale concretizzando di conseguenza una violazione dell’art. 119 Cost.

E’ di tutta evidenza, infatti, che “i provvedimenti finanziari adottati dallo Stato allo scopo di razionalizzare e contenere la spesa nel settore pubblico allargato, pur dovendo avere un carattere di assoluta generalità e lo scopo di porre un freno al dilagare di tale spesa – anche mediante la fissazione di criteri d’ordine generale,… – non possono, tuttavia, prescindere dalla individuazione certa delle fonti di finanziamento delle spese degli enti locali territoriali e dunque anche delle comunità montane e dei comuni che di esse fanne parte. Diversamente, ne verrebbe compromessa la certezza sia delle fonti di finanziamento della spesa degli enti interessati, sia delle risorse economiche effettivamente disponibili per gli enti stessi, da impiegare per il raggiungimento delle rispettive finalità istituzionali”.

Per mera consequenzialità logica la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima anche la previsione, contenuta nel successivo secondo periodo, della devoluzione, in via transitoria, ai Comuni già facenti parte delle Comunità montane, del 30% delle risorse sia derivanti dal fondo ordinario nazionale per gli investimenti, sia spettanti agli stessi organismi con riferimento alle altre “disposizioni di legge” come sopra specificato, in quanto si tratta di disposizioni strettamente connesse al primo periodo del comma 187.

I riflessi della pronuncia sulle attività degli Enti Locali

Benché la sentenza in commento abbia affrontato nel merito esclusivamente la questione attinente il finanziamento delle Comunità montane, le originarie censure oggetto dei ricorsi costituzionali meritano di essere approfondite per i riflessi che ne possono derivarne per gli Enti locali.

In particolare, per quanto riguarda la disciplina dei consorzi di funzione, oggetto di giudizio nella originaria previsione di cui alla Finanziaria 2010.

Infatti rispetto a tale tema il mancato pronunciamento sulla questione da parte della Consulta, giustificato dalla normativa sopravvenuta alla finanziaria, ha posto di fatto notevoli problemi circa la possibilità di mantenere in vita le varie realtà di consorzi esistenti.

Come ben ricordato dalla Corte, la materia risulta attualmente regolata dalla disciplina dettata dal Dl. n. 2/10 la quale ha confermato la decorrenza del 2011 per la soppressioni di detti Enti, con conseguente ritrasferimento delle funzioni ai Comuni.

Il successivo Dl. n. 78/10 all’art. 14, comma 28, è poi intervenuto stabilendo che le funzioni fondamentali dei Comuni, previste dall’art. 21, comma 3 della Legge n. 42/09, siano obbligatoriamente esercitate in forma associata, attraverso convenzione o unione, da parte dei Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti e per i Comuni, appartenenti o già appartenuti a Comunità montane, secondo la popolazione stabilita con legge regionale, comunque inferiore a 3.000 abitanti

E’ evidente come allo stato più di un dubbio si ponga in merito alle numerose realtà esistenti di gestione di funzioni comunali secondo la forma del consorzio di cui all’art. 31 Tuel, quali le Società della Salute, i Consorzi di bonifica, i Consorzi per le attività produttive, le quali saranno chiamate ad un opportuno ripensamento circa il modello di gestione fino ad oggi esercitato attraverso l’istituto consortile.

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